Da Berlinguer a Berlusconi, da Mandela ad Arafat fino alle Poste di Francesco Caio. Non è certo l’itinerario classico del manager quello che il sessantenne ferrarese Paolo Bruschi ha percorso per arrivare al vertice dell’azienda delle lettere. Con l’ultimo incarico che gli è stato affidato, responsabile delle risorse umane, cioè capo del personale dell’impresa italiana con il più alto numero di dipendenti (142mila), oltre che della tutela aziendale, Bruschi è di fatto diventato l’uomo forte della nuova stagione postale concentrando su di sé un potere che nessuno in passato aveva avuto. Bruschi era già responsabile delle segreteria tecnica dell’amministratore delegato e delle relazioni esterne e anche di quelle istituzionali, altri ruoli strategici per un’impresa pubblica di servizi.
Al personale Bruschi ha preso il posto di Fabrizio Barbieri, ufficialmente non giubilato, ma di fatto accantonato con la formula classica usata nelle aziende: “Messo a disposizione dell’amministratore delegato”. Non è chiaro perché sia stato sostituito in modo così repentino, di certo le Poste stanno passando un momento molto delicato, soprattutto per quanto riguarda la gestione del personale. Conclusa qualche mese fa la volata che ha portato l’azienda alla quotazione in Borsa, le Poste devono fare i conti con le conseguenze della gigantesca truffa dei dati della puntualità truccati. E’ da almeno una decina d’anni, piena era Sarmi, che con la complicità dei dirigenti più alti in grado vengono consegnati dati falsi ai vari ministri di turno in modo da poter ottenere i finanziamenti statali senza penali e da poter vantare livelli di efficienza non veritieri.
Dopo una serie di inchieste del Fatto che ha scoperchiato il pentolone dell’imbroglio, il nuovo gruppo dirigente arrivato con Caio ha il merito di non aver voltato la testa dall’altra parte. Da qualche giorno sono partiti i primi licenziamenti e le prime sospensioni, altri ce ne saranno tra breve. L’operazione sta creando mille tensioni sia tra i dirigenti sia tra i sindacati. I primi temono di finire nella lista nera, i secondi sospettano che il repulisti tocchi solo i livelli medi e bassi, cioè gli esecutori, salvando gli alti papaveri, i primi responsabili della truffa. Caio ha voluto Bruschi per gestire questa partita.
I due si conoscono da almeno una ventina d’anni e Caio sa bene che Bruschi è tutto tranne che un manager uscito da un’accademia di formazione. Le sue scuole sono state prima il partito comunista di Berlinguer e poi le imprese di Berlusconi. Dopo aver fatto politica (è stato per 19 anni consigliere Pci a Ferrara), quando ha ritenuto che l’esperienza comunista non avesse più senso ha preferito chiudere con i partiti. La sua passione era l’associazionismo, l’Arci, una costola del Pci, presidente a Ferrara e vice segretario dell’Emilia, dove mise in mostra una vena che a quei tempi avrebbero definito creativa. Quando liberarono Nelson Mandela (poi premio Nobel per la pace), Bruschi lanciò una raccolta di fondi per la riapertura di una tipografia nel Sud Africa dell’apartheid, un progetto che chiamò Adottiamo un giornale a cui aderirono tutti i partiti e personaggi di spicco, da Sting a Pavarotti, da Zucchero a Gino Paoli. Fu in quell’occasione che a Perugia conobbe Arafat nel frattempo invitato in Italia, mentre a Roma in piazza Farnese salì sul palco con Mandela. E quando in Iraq Saddam Hussein incarcerò un bel po’ di stranieri, Bruschi lanciò una raccolta di latte in polvere per i bambini di quel Paese e con quella moneta di scambio umanitaria riuscì a convincere il regime tramite l’ambasciata a liberare due ostaggi italiani.
Tutto questo attivismo non sfuggì a Berlusconi che gli propose di passare alla Fininvest. Nel colloquio decisivo, con il curriculum del candidato sulla scrivania, Fedele Confalonieri chiese a Bruschi se da comunista il suo scopo era spiare la Fininvest. Bruschi rispose che spia non era mai stato per i comunisti e non lo sarebbe diventato per la Fininvest se lo avessero preso. Lo presero. Ma quando dopo qualche tempo Berlusconi gli propose di ritornare alla politica, preferì provare altre strade. Fu allora, ai tempi della start up di Omnitel, il primo operatore privato di telefonini in Italia, che conobbe Caio che di Omnitel era l’ideatore. Da allora i due non si sono più persi di vista. Bruschi fondò poi una sua società di comunicazioni, la Segest, Caio ha avuto diversi altri incarichi. Ma quando è diventato il capo delle Poste ha pensato allo strano manager conosciuto tanti anni prima. E gli ha messo in mano mezza azienda.