Era il 2 marzo 2006 e due persone fecero irruzione nella casa a Casalbaroncolo: immobilizzarono i genitori e rapirono il figlio più piccolo sotto gli occhi del fratello di 8 anni. Il bimbo sarà ucciso poco dopo mentre per un mese tutta Italia rimase attaccata alla tv nella speranza che fosse ritrovato ancora vivo. La mamma Paola Pellinghelli, rimasta solo in seguito alla morte del marito, ricorda quei momenti e condanna l'ipotesi che uno dei due assassini possa uscire con permessi-premio di lavoro anche se condannato all'ergastolo
“L’assassino di mio figlio è stato condannato all’ergastolo, ma l’ergastolo vero lo sconteremo noi, perché mio figlio non mi verrà mai restituito”. Per la prima volta dopo dieci anni dalla scomparsa del piccolo Tommaso Onofri, la madre Paola Pellinghelli tira fuori tutta la rabbia. Nei primi mesi del 2006 la storia del piccolo di 18 mesi rapito dalla sua casa alle porte di Parma e ucciso brutalmente dai suoi aguzzini aveva sconvolto l’Italia. Ma oggi a rendere ancora più doloroso quell’anniversario, è la notizia che uno dei tre responsabili del delitto tra qualche mese potrebbe ritrovare parzialmente la libertà. Mario Alessi, il muratore siciliano condannato al carcere a vita per avere rapito e ucciso il piccolo Tommy, ad aprile potrebbe chiedere i permessi-premio per lavorare all’esterno del penitenziario. Un’opzione prevista dalla legge che però è una coltellata al cuore per la famiglia del piccolo Tommy. “Quell’uomo si è macchiato dell’omicidio di un bambino e prima ancora aveva rapinato e stuprato una ragazza – continua Pellinghelli, contattata da ilfattoquotidiano.it – Anche se si è comportato bene in carcere, non credo sia giusto permettere a una persona così di lavorare a spese di tutti gli italiani, quando ci sono persone oneste che sono disoccupate. Spero che i giudici faranno le opportune valutazioni”.
I due uomini di quella sera erano Mario Alessi, il muratore che aveva lavorato alla ristrutturazione della casa degli Onofri, e il suo amico Salvatore Raimondi, ex pugile di origini siciliane. Ad aiutarli Antonella Conserva, compagna del manovale, che lo andò a prendere quella sera a operazione compiuta. Per quei terribili fatti tutti e tre vennero condannati: vent’anni di reclusione con rito abbreviato per Raimondi, considerato responsabile materiale del rapimento e del delitto insieme ad Alessi, che venne condannato all’ergastolo, mentre ventiquattro anni per la Conserva, complice dei due. Il loro piano era quello di un rapimento lampo per estorcere dei soldi alla famiglia, ma i due uomini dopo essersi dati alla fuga, braccati dalle forze dell’ordine, vennero presi dal panico, forse perché il bambino piangeva, e lo uccisero senza pietà, nascondendo il corpo a pochi chilometri dalla casa degli Onofri. I telegiornali per un mese seguirono le ricerche disperate di quel bambino dai ricci e gli occhi azzurri che sorrideva nelle fotografie diffuse ovunque, fino a quando il primo aprile si arrivò alla scoperta del piccolo corpo senza vita. Si venne a sapere che Tommaso era morto la sera stessa del rapimento, freddato senza un vero perché. È anche per questo che Paola non si dà pace: “Dopo tanti anni si conoscono gli esecutori, ma non si capisce il movente. Se la sono presa con Tommy perché era l’unico che non si poteva difendere, sono stati vigliacchi fino alla fine – commenta – L’unico mio rimorso è non avere potuto riconoscere il corpo di mio figlio. Aveva implorato i magistrati di darmi il permesso, ma per il mio bene me lo hanno impedito. Almeno però avrei potuto vedere Tommy per l’ultima volta”.
La vicenda che sconvolse la famiglia Onofri non fu priva ombre. All’inizio delle indagini i sospetti caddero anche sulla famiglia e in particolare sul padre Paolo. In una cantina venne trovato materiale pedopornografico (per cui l’uomo patteggiò sei mesi), e solo in seguito si scoprì che il papà di Tommaso era estraneo a tutto. “All’inizio eravamo tutti sospettati e io ero arrabbiata perché volevo che le indagini si concentrassero su mio figlio – chiarisce Paola – Ora con il senno di poi, so che sin dai primi giorni gli inquirenti stavano già lavorando sulla pista giusta. Però ricordo che già allora, anche se non volevo perdere la speranza, non avevo più la certezza che avrei rivisto mio figlio”.
Due anni fa Paolo Onofri è morto, portato via da un infarto che dal 2008 lo aveva ridotto in stato vegetativo. Ora a portare avanti quel che rimane della famiglia tocca a mamma Paola, che in questi anni ha dovuto affrontare lo strazio dei processi e il dolore di una vita senza la sua creatura. “Non so se definirmi forte, né come abbia fatto ad andare avanti, ma lo devo a Tommy, perché lui non ha potuto vivere e conoscere la vita. E poi c’è Sebastiano, l’altro mio ragazzo. Se fossi stata sola forse ora non ci sarei più, ma lui ha dovuto vedere il brutto della vita quando era piccolo, ha bisogno di me. Ora abbiamo trovato una serenità tutta nostra, che dobbiamo mantenere con grandi sforzi e sacrifici. Ma ci siamo rialzati”.
Di cose da fare oltre il lavoro Paola ne ha tante, nel ricordo sempre vivo di suo figlio. C’è da tenere pulito il cippo commemorativo in via del Traglione, dove venne ritrovato il corpicino del piccolo, organizzare le attività dell’associazione “Tommy nel cuore” di cui è presidente e che lo scorso dicembre è diventata una onlus. “Oggi Tommaso avrebbe dodici anni, ma io non riesco a immaginarmelo, anche se guardo gli altri bambini della sua età – continua Paola – Per me lui è fermo a quella sera del 2 marzo”. Ma Tommy è vivo anche nella memoria degli italiani che avevano riempito piazza Duomo per i funerali del bimbo, e che ora continuano ad andare in pellegrinaggio a Casalbaroncolo o al cimitero di Tizzano, nell’appennino parmense, dove è sepolto. “Le persone arrivano da tutta Italia per lasciare doni, a volte passano a cercarmi a casa, e anche nel cimitero di Tizzano trovo sempre qualche giocattolo o dei pensierini per Tommy. La gente non si è mai dimenticata di noi, Tommaso è riuscito a unire tante persone di ogni età e razza”.
Ora però quella memoria rischia di essere sfregiata dalla possibilità che Alessi possa uscire dal carcere, anche solo per lavorare. L’associazione Tommy nel cuore ha lanciato un appello per denunciare la situazione, a cui si è unita anche Paola. “Parlo a nome mio, ma anche delle famiglie delle altre vittime per mano di altri. Non credo che con un buon comportamento si possa riscattare la vita di un bambino, per farlo non basta nemmeno l’ergastolo. Questa persona non ha mai provato un pentimento, e anche se mi chiedesse perdono lo rispedirei al mittente, perché sarebbe una farsa. Quello che so invece è che la mancanza di mio figlio la sentirò fino alla fine dei miei giorni”.