File di cipressi che interrompono il verde intenso di una campagna fatta di morbide colline. Ma anche vigneti ed oliveti quasi sterminati. Uno scenario naturale che l’Organizzazione delle Nazioni Unite, quando nel 2004 lo ha dichiarato patrimonio dell’Unesco, ha definito “eccezionale esempio di come il paesaggio naturale sia stato ridisegnato nel periodo Rinascimentale per rispecchiare gli ideali di buon governo e per creare un’immagine esteticamente gradevole”.
E’ la val d’Orcia, tra Siena e Grosseto, area sud della Toscana. A chi verrebbe in mente di piazzare in questi luoghi un mostro in cemento armato grande come un campo di calcio ed alto come uno stabilimento industriale? Forse a nessuno. Regione Toscana, a parte. Già, perché da quando il Decreto legislativo del 2010 (poi modificato nel 2011 e ancora dal decreto legge del 2012) ha liberalizzato l’attività geotermoelettrica, la Regione del presidente Rossi è stata subissata dalle richieste di ricerca per il reperimento della risorsa geotermica. Al punto da decidere nello scorso febbraio di introdurre una moratoria di sei mesi.
“Quel che droga tutto sono le compensazioni e gli incentivi previsti per le rinnovabili. Come fu per l’eolico”, diceva lo scorso aprile Sergio Bovicelli, ex assessore provinciale alle Infrastrutture ed ex consigliere comunale a Santa Fiora. I 200 euro per ogni megawatt prodotto costituiscono una “tariffa incentivante” di tutto rispetto. Il ricavo annuale previsto per la ditta appaltatrice è stimato sui 7,5 milioni di Euro per 25 anni, a fronte di un investimento iniziale di circa 30 milioni. Così a metà 2013 risultavano rilasciati 38 permessi di ricerca, relativi a centrali al massimo da 5Mw/h.O, concentrati perlopiù tra le province di Grosseto, Siena e Pisa. Assegnatarie 13 differenti società, di cui 4 (Futuro Energia, Geothermics Italy, Terra Energy e Toscana Geo) supportate dalla stessa multinazionale (la Geysir Europe srl) e altre due (Geoenergy srl ed Exergia Toscana srl) che fanno capo alla società Italbrevetti. E poi Gesto Italia srl., costola della multinazionale Gesto Energy Consulting, responsabile del progetto di Montenero d’Orcia, frazione di Castel del Piano. Una delle centrali distribuite tra Val d’Orcia e Amiata. Progetti contestati da chi quei territori li abita. Ma anche da chi li amministra. Uniti dal timore che quelle centrali possano innescare un pericoloso corto circuito. Non solo alla produzione di prodotti agroalimentari di altissima qualità, ma soprattutto al paesaggio.
“Quel che dispiace è che le istituzioni non ascoltino minimamente la voce dei cittadini” diceva nel gennaio 2014 Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del Brunello. Da Montenero a Monticello Amiata, frazione del Comune di Cinigiano, dove è prevista un’altra centrale. Quella denominata Monte Labbro, che eseguirà ricerche nei Comuni di Arcidosso, Roccalbegna, Castel del Piano, Santa Fiora e Campagnatico, oltre che a Cinigiano. “Il mio campo confina con la strada dell’Ontanelli e a tre metri da esso c’è la Riserva naturale di Poggio all’Olmo … Ora voi ci dite che nella riserva tutto è intoccabile e che a tre metri da essa invece si potrà realizzare un gigantesco mostro?”. Scrive così nello scorso dicembre al Governatore della Regione, Alberto Aluigi, proprietario del terreno dove la Geoenergy srl. vuole realizzare il progetto di Monte Labbro. Non è tutto. Si è deciso di escludere il progetto dalla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale. Circostanza che ha suscitato molte perplessità. Ma alle questioni particolari si mescolano criticità più generali. In pericolo c’è il Paesaggio, certo. Ma il rischio è anche che le nuove centrali provochino inquinamento ambientale e una sismicità indotta. Nonostante il Piano paesaggistico regionale, fatto approvare a fatica dall’assessore all’urbanistica Marson, ampie porzioni del territorio toscano potrebbero essere stravolte. Può sembrare un paradosso. Per il Governo della Toscana non lo è.