Stretta del governo sui media in una fase delicatissima per gli equilibri dell’editoria italiana. L’esecutivo di Matteo Renzi ottiene infatti il via libera dalla Camera per la proposta di legge che dà vita al fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione. La parola passa ora al Senato che discuterà il documento proprio nelle ore in cui L’Espresso della famiglia De Benedetti tratta con gli Elkann l’acquisizione di Itedi, editrice della Stampa e del Secolo XIX, e la Fca di Sergio Marchionne studia l’uscita da Rcs, editore del Corriere della Sera.
Dopo l’ok del Senato all’attuale testo, il governo Renzi dovrà poi adottare nel giro di sei mesi uno o più decreti legislativi che dovranno “ridefinire la disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici, prevedere misure per il sostegno degli investimenti delle imprese editoriali”, come si legge negli atti della Camera. E poi ancora “innovare il sistema distributivo, finanziare progetti innovativi presentati da imprese editoriali di nuova costituzione, sostenere i processi di ristrutturazione e riorganizzazione delle imprese editoriali già costituite”. Inoltre all’esecutivo spetterà anche il compito di stabilire le nuove regole sull’accesso ai prepensionamenti, oltre che sulla composizione e le competenze dell’Ordine professionale.
Quanto alle somme cui potranno accedere gli editori, la bozza approvata dalla Camera stabilisce per il fondo una dotazione di 100 milioni di euro annui per il triennio 2016-2018. La copertura finanziaria arriverà da un contributo di solidarietà dello 0,1% a carico dei redditi dei concessionari, oltre che dalle eccedenze del canone Rai. Le stesse che, secondo la legge di Stabilità, dovrebbero anche finanziare l’esenzione dal canone per gli over 75 con reddito inferiore a 8mila euro.
Il testo appena approvato limita, inoltre, la platea degli editori beneficiari che dovranno dimostrare di aver venduto almeno il 30% delle copie o, per le testate online, di avere un cospicuo numero di utenti unici effettivi. Al fondo, che verrà istituito al ministero dell’Economia, potranno, infatti, accedere le tv locali, le cooperative giornalistiche, gli enti senza fini di lucro, periodici per non vedenti e per ipovedenti, associazioni dei consumatori e i giornali in lingua italiana diffusi all’estero. Ne saranno esclusi i giornali di partito o movimento politico, gli organi sindacali, le imprese editrici di quotidiani e periodici che appartengono o sono partecipati da società quotate.
Tuttavia, come fa notare il Movimento 5 Stelle, il governo ha optato a favore degli incentivi fiscali agli investimenti pubblicitari su quotidiani e periodici. “E’ un’operazione che consentirà ai grandi gruppi industriali di guadagnarci economicamente e di tenere sotto controllo la stampa – sostiene una nota del M5s – Se poi a fare pubblicità saranno i partiti, i soldi dei cittadini usciranno dalle loro tasche tre volte: la prima per il finanziamento all’editoria, la seconda quando i partiti useranno i fondi pubblici per farsi pubblicità e la terza con gli sgravi fiscali di cui godranno”.
Inoltre il Movimento ha anche denunciato il rischio che la delega al governo sul sistema di riparto finisca col “regalare soldi pubblici agli amici editori”. Un’ipotesi esclusa dal relatore Pd Roberto Rampi: “Questa legge ha delle deleghe molto ben dettagliate che sono state scritte anche con il contributo anche delle opposizioni”, precisa sottolineando come i decreti attuativi passeranno comunque sempre al vaglio delle commissioni di Camera e Senato. “Questa legge è un esempio dell’equilibrio che deve esistere nei rapporti fra parlamento e governo – aggiunge – il primo dà infatti indirizzi precisi e il secondo si occupa della parte attuativa con la possibilità di aggiustamenti in corso d’opera nel caso in cui gli obiettivi non siano a pieno centrati”. Al governo va quindi l’onere di varare decreti attuativi efficaci per l’editoria in un Paese che non brilla certo per la libertà d’informazione.