Lo scorso novembre, l’Onu ha proclamato il 2016 anno internazionale dei legumi per promuoverne i benefici.
Oggi i legumi rappresentano una leva fondamentale per affrontare diverse problematiche di tipo sanitario, ambientale e perfino economico, legate ai sistemi alimentari globali. Tuttavia il consumo pro capite è in diminuzione in tutto il mondo, eccezion fatta per il Nord Africa e il Medio Oriente. Nel nostro Paese si attesta attualmente poco sopra i 3 kg all’anno rispetto ai 15 kg del secondo dopoguerra. Una diminuzione che si spiega da una parte con l’incremento del consumo di carne (e quindi di proteine animali), spinto dalla crescita del reddito delle famiglie, dall’altra con la necessità, su cui hanno soffiato non poco le industrie alimentari, di poter contare su cibi “pronti all’uso” per far fronte a ritmi di vita sempre più frenetici.
I medici hanno pochi dubbi circa i benefici apportati sulla salute umana da una dieta ricca di legumi, in grado di apportare micronutrienti essenziali e di coadiuvare la prevenzione di numerose malattie. Di contro inizia a essere evidente che l’eccessivo consumo di carne non fa bene alla nostra salute, oltre a non essere più sostenibile neppure per la salute del pianeta. Tra l’altro l’elevato contenuto proteico mette i legumi tra gli alimenti fondamentali per garantire la sovranità alimentare di molti popoli della Terra in modo sostenibile.
La drastica riduzione del consumo ha determinato, ovviamente, anche una riduzione nella coltivazione e nella produzione di legumi destinati all’alimentazione umana, perciò un’inversione di tendenza nei consumi potrebbe finalmente far riscoprire, su scala più ampia, la coltivazione di queste piante.
Dal punto di vista agronomico queste coltivazioni che hanno un impatto ambientale decisamente positivo grazie alle scarse esigenze idriche e di fertilizzazione chimica, in particolare quella azotata (che è anche quella più inquinante) in quanto le leguminose sono piante azotofissatrici, cioè in grado di apportare azoto al terreno in cui vengono coltivate. Queste peculiarità ne rendono possibile la coltivazione anche in condizioni pedoclimatiche complesse come quelle che si ritrovano in alta collina e in montagna, dove le alternative colturali non sono molte e il rischio di abbandono dei terreni è elevato.
Oltretutto le piante leguminose, grazie alla straordinaria ricchezza di cultivar ed ecotipi locali, costituiscono un importante bacino di quella biodiversità che, oltre a contribuire alla regolazione degli equilibri naturali, rappresenta l’ancora di salvezza per l’agricoltura di piccola scala a cui tutti dobbiamo tanto, in termini sociali e ambientali.
E’ chiaro perciò che occorre promuovere e favorire, a partire dalle istituzioni, in maniera forte il consumo di questi alimenti e farli tornare parte integrante delle nostre diete.
L’auspicio è anche che nella miriade di eventi dedicati al cibo (tantissimi sostenuti da contributi pubblici) che ogni giorno vengono realizzati in tutta Italia, trovino più spazio quelli che vedono protagonisti i legumi, che oggi rappresentano purtroppo una rarità (Leguminosa che si svolge a Napoli in questo fine settimana è l’unico attualmente inserito nella lista della Fao).
Ma soprattutto bisogna agire attraverso campagne di sensibilizzazione e iniziative educative rivolte tanto agli adulti quanto ai bambini. Le scuole, in particolare, possono dare un contributo decisivo in questa direzione, sia attraverso l’attività didattica vera e propria, sia attraverso l’introduzione sistematica di legumi, a partire da quelli locali, nelle mense scolastiche. Gli investimenti richiesti sono minimi, se si pensa a quanto elevata è la spesa sanitaria nel nostro Paese e di quanto potrebbe ridursi con abitudini alimentari più consapevoli.