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Lorelei Lee Vs il New York Times, l’attrice hard: “Le vostre parole violentano i nostri corpi di pornostar”

La bionda statunitense, specialista assoluta in pratiche bondage e fetish, si scaglia contro i racconti del quotidiano newyorkese sulla regolamentazione dei set porno (con preservativi, occhialetti e paradenti), rei secondo lei di sbeffeggiare i pornoattori, trattati come freaks

di Davide Turrini

“Le vostre parole violentano i nostri corpi di pornostar”. La bionda Lorelei Lee, 35 anni, da 16 nel mondo dell’hard statunitense, si scaglia contro il New York Times. Alla pornostar specialista assoluta in pratiche bondage e fetish non è andato giù il reportage dell’importante quotidiano newyorchese sulla seduta dell’Occupational Safety & Health Standards Board della California, alla quale ha partecipato un nutrito e agguerrito gruppo di addetti ai lavori del mondo cinematografico porno, tra attori, registi e produttori.

Motivo del contendere l’adozione di misure draconiane, e per certi versi alquanto invalidanti sul piano performativo, di regolamentazione dei set porno con preservativi, occhialetti per ripararsi da ogni genere di “batterio”, paradenti in lattice per proteggersi da liquidi seminali. Il caso nasce da una petizione presentata nel 2009 dall’AIDS Healthcare Foundation, un’organizzazione di beneficienza statunitense.

La commissione californiana ha però rigettato la richiesta dopo aver ascoltato in udienza pubblica diverse star del porno e rappresentanti dell’organizzazione no-profit. “Penso che sia un giorno triste per la salute pubblica”, ha affermato Carl Cohen, un consulente medico dell’Aids Healthcare Foundation. “Ogni grande organizzazione medica e di sanità pubblica ha dichiarato che i preservativi dovrebbero essere tenuti in tutti i set di film per adulti”.

Dall’altro lato i rappresentanti dell’industria pornografica, che svolgono parecchio lavoro su e giù per i set della libertaria California, hanno semplicemente spiegato che oltre ad avere controlli continui sulla sieropositività degli attori, l’inserimento in scena di condom e protezioni “distruggerebbe semplicemente l’industria del porno che conta migliaia di addetti ai lavori e un fatturato di miliardi di dollari”. Una battaglia vinta provvisoriamente, perché la Commissione ha rimandato un ulteriore regolamentazione sanitaria del settore porno nei mesi a venire.

Una voce dissenziente si è però sollevata tra le decine di volti noti del porno statunitense convenuti a Oakland. Invece di festeggiare la vittoria sui censori, risoluti e cocciuti che da almeno due anni stanno tentando questa “involuzione” del mondo del porno americano, la bionda e tatuata Lorelei Lee ha messo sul banco dell’accusa i racconti del NYT in cui si sbeffeggerebbero lei e i colleghi, trattati come freaks del cinema, come “cartoon”, come persone non reali.

“Non eravamo, come il vostro articolo descrive, ‘una parata’. Non eravamo lì per fare spettacolo e i nostri vestiti – tu nel tuo articolo ci hai tenuto a precisare che eravamo ‘completamente vestiti’- non erano costumi di scena”, si rivolge Lorelei all’autore dell’articolo Thomas Fuller. “Sappiamo già cosa pensa la maggior parte del mondo di noi. Sappiamo che si sono sorpresi di vederci vestiti alla luce del giorno. Sappiamo che tu pensi che noi siamo personaggi di fantasia con voci provenienti da uno script e che usano solo imperativi espliciti e doppi sensi. Di volta in volta ci è stato detto che a causa del lavoro che facciamo con i nostri corpi, non dobbiamo avere il cervello sviluppato del tutto. Ci è stato detto che non possiamo sapere ciò che è bene per noi, che siamo sventurate vittime di un sistema, che siamo sfruttati e che ci fanno il lavaggio del cervello. Eppure, siamo stati noi, interpreti adulti del porno, ad aver creato e implementato i protocolli rigidi che oggi usiamo per proteggere i nostri corpi sul posto di lavoro. Noi che abbiamo visto negli anni novanta i nostri colleghi morire di Aids”.

Un j’accuse potentissimo e circostanziato che smonta volgare ironia e preconcetti sul mondo del porno, anche quello più estremo del bondage. Lorelei parla di “processo politico per regolamentare i nostri corpi”. E ancora colpisce nel segno: “Quando lottiamo per la nostra sicurezza fisica, questa cancellazione della nostra umanità da parte di un giornalista amplifica i nostri rischi quotidiani. Le tue parole violentano i nostri corpi implicando che non siamo reali, persone intere. E tu lo sai”.

Lorelei Lee ha preso il suo nome d’arte da Marilyn Monroe ne Gli uomini preferiscono le bionde e ha esordito nel lungometraggio commerciale porno tra il 2005 e il 2006. La 35enne nata nello stato di New York è però conosciuta ai più per le sue performance artistiche e le sue regie di mediometraggi bondage e fetish sul sito kink.com, l’avanguardia performativa del genere.

La Lee è poi attivissima sui social, dove mostra davvero ciò che ha cercato di spiegare al NYT: oltre il set c’è una donna, normale come tutte le altre. Basta scorrere il suo profilo Instagram dove a fianco di qualche scatto vestita in latex, ma non in azione, appaiono fotogrammi della quotidianità: il proprio cagnetto che dorme, un orzaiolo comparso sotto un occhio, il risveglio con le occhiaie e a fianco uno scatto con la Lorelei pronta ad andare in scena, un piede cartonato dopo una caduta, qualche dialogo privato su WhatsApp. Senza mai dimenticare un po’ di sottile provocazione tra sguardi languidi e minuscole porzioni di lingerie che sbucano inattese da eleganti mise impiegatizie.

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