Quando si dice il destino. Nel breve volgere di poche ore, a distanza di centinaia di chilometri, ci hanno lasciati due tra i più importanti intellettuali-economisti (non tutti gli economisti infatti sono intellettuali) del dopoguerra. In rigoroso ordine alfabetico, Marcello De Cecco e Sergio Ricossa. Nella dottrina, nelle idee, nella nascita e nel carattere molto diversi tra loro, ma accomunati da almeno due caratteristiche fondamentali che li rendono insostituibili all’Italia e agli uomini e alle donne che amano la cultura: 1. l’approccio e la concezione dell’economia come una scienza complessa, senza facili risposte, che impone profondi studi anche sui fatti e sulle teorie del passato; 2. la totale non considerazione da parte delle rispettive aree politiche di riferimento delle loro idee in tema di politica e teoria economica.
Marcello De Cecco (n.1939), abruzzese, a lungo professore ordinario alla Normale di Pisa, tra i fondatori del Pd, in ambito accademico scrisse importanti lavori di storia delle teorie monetarie e sul funzionamento dei mercati, mentre nella vasta produzione pubblicistica intervenne sui temi più importanti della politica economica italiana ed europea, recentemente con posizioni particolarmente critiche verso le politiche di cosiddetta austerity. I suoi ragionamenti erano talmente ben argomentati e dottrinalmente così fondati, che perfino chi gli era contrario finiva per essere d’accordo con lui. Ovviamente, a parte gli inviti a qualche trasmissione televisiva, Marcello De Cecco non ebbe mai la possibilità di assurgere ad alte posizioni di responsabilità politica o ministeriale, alle quali pure avrebbe dato lustro, né il suo magistero economico fu mai seriamente recepito da quella «sinistra» politica, che oggi tutti vedono dove ci sta portando.
Simile la vicenda di Sergio Ricossa (n.1927), su tutt’altro versante. Liberale nel tratto oltre che nella cultura, da sempre, ben prima che la signora Thatcher, Reagan e molto più modestamente Berlusconi la portassero al potere nei rispettivi paesi. Professore di Politica Economica nell’Università di Torino, allievo di Arrigo Bordin, uomo estremamente colto, cinico, pessimista e ironico, da sempre convinto della virtù igienica e salutare di tutte le istituzioni liberali, dai parlamenti ai mercati, ma mai nemmeno lontanamente sfiorato dalla presunzione che il mercato e la concorrenza avessero poteri salvifici. In cuor suo col tempo si rafforzò invece nella convinzione dell’inutilità della scienza economica, mentre osservava – dopo decenni di emarginazione – gli esecrandi effetti di politiche economiche a parole ispirate ai principi liberali, di fatto messe in pratica da ex rappresentanti del mondo dello spettacolo e della sinistra ideologica estrema, chiamati ironicamente al posto dei liberali di vecchia fede là dove avrebbe dovuta essere realizzata la rivoluzione liberale che veniva annunciata.
Ora cala il sipario anche su questa marginalizzazione pratica, in cui idee e persone dello spessore di De Cecco e Ricossa furono tenuti – a parte le gratuite postume celebrazioni. In realtà nella loro saggezza, essi certamente non ne soffrirono più di tanto, e ci piace pensare pensare che oggi lassù già si stiano divertendo come dei pazzi a discutere di Keynes, Hayek e Sraffa, come solo loro sanno fare. Noi li ringraziamo di tutto cuore e pensiamo che l’Italia abbia perso molto con la loro scomparsa, perché non si vedono pezzi di ricambio, anzi. Ma non siamo così tristi, abbiamo i loro scritti, che in molti faremmo bene ad andare a rileggere.