177.031 incidenti stradali con lesioni a persone, che hanno provocato la morte di 3.381 persone (entro il 30° giorno) e il ferimento di altre 251.147. Questo, secondo l’Istat, il bollettino di guerra dal fronte stradale, in Italia, nel 2014. Condanne a pochi mesi di reclusione per omicidi colposi commessi in occasione di sinistri stradali, anche in presenza di comportamenti alla guida, che quei sinistri avevano causato, manifestamente sprezzanti della vita e dell’incolumità altrui.

Tanto era possibile in forza di una norma del codice penale, quella che puniva l’omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla circolazione stradale, che nell’ipotesi base (ossia non ulteriormente aggravata dall’abuso di alcool o droghe), prevedeva una pena da due a sette anni di reclusione.

Basterebbe mettere insieme questi due elementi – portata lesiva del fenomeno, in termini di vite umane, e sostanziale “inadeguatezza” (per dirla in maniera delicata) della risposta sanzionatoria – per rendersi conto che un intervento legislativo che provasse a porre qualche rimedio a questa situazione era necessario; più precisamente che tentasse di rendere la sanzione penale appena men che virtuale. Ché “virtuale” è, nel nostro ordinamento, quasi sistematicamente, una pena fino a due anni di reclusione (a tacer di pene anche più pesanti).

incidente mortale

In tal senso, devono lasciare il tempo che trovano i soliti alti lai (“panpenalizzazione”, incapacità di trovare risposte alternative al carcere alle questioni sociali e amenità simili) che già si alzano, e ancor più lo faranno nelle sedi dotte, da parte delle anime belle del garantismo di professione, quello che garantisce sempre e comunque i carnefici e mai le vittime.

Indipendentemente da quello relativo alle condotte aggravate dall’abuso di alcool e stupefacenti, il netto spostamento verso l’alto delle sanzioni minime (sono quelle in realtà più significative, perché sono quelle che incidono di più nella quantificazione della pena da applicarsi in concreto) anche in caso di sinistro che abbia provocato morti a causa di comportamenti del guidatore particolarmente dissennati e pericolosi non può che esser salutato con soddisfazione da chiunque pensi che il diritto penale può e deve servire a punire seriamente anche chi gioca con la vita e l’incolumità altrui, oltre che chi, per sopravvivere (magari provenendo da una realtà lontana di miseria e oppressione), vende per strada dvd e borse tarocche.

Perché, è opportuno rammentarlo, una sanzione penale seria ed effettiva può servire a tutelare, in maniera seria ed effettiva, i beni giuridici in questione: ossia, nel caso di specie, la vita e l’incolumità delle persone.

Le “perplessità” che, invece, non può non ingenerare un provvedimento legislativo di questo tipo sono altre, relative sia al merito dello stesso che alla più complessiva politica criminale di questo legislatore. Alcune brevi osservazioni, in questa sede, solo con riferimento a quest’ultima.

E’ difficile capire come possa armonizzarsi una legge mossa da un evidente intento di difesa sociale contro un fenomeno criminoso ad elevato allarme sociale, anche se connotato da comportamenti eminentemente colposi (ossia privi dell’intenzione di far male, per così dire), con il florilegio di “riforme”, sia in ambito penale sostanziale che processuale, che ha prodotto questo legislatore, ossia questa maggioranza di governo (quando non direttamente l’esecutivo stesso), negli ultimi due anni.

“Riforme” che non brillano proprio per la capacità (per non dire per la volontà) di garantire il giusto castigo agli autori di reati anche tutt’altro che “bagatellari”, e, quindi, di difendere la cittadinanza da condotte e fenomeni pesantemente delittuosi: dall’introduzione della “particolare tenuità del reato” come causa di non punibilità del reo (in caso di illeciti che possono, in teoria, esser puniti anche con una pena di cinque anni di reclusione) alle recenti, ennesime, modifiche della custodia cautelare in carcere che la rendono ormai, per magistrati e forze dell’ordine, una specie di fatica di Sisifo, anche in presenza di reati come la rapina e lo spaccio di stupefacenti, per definizione dolosi e non colposi com’è, comunque, “l’omicidio stradale”.

Per non parlare dei colletti bianchi con una vaga tendenza a delinquere (come in Italia non è proprio raro rinvenirne), che, per le norme approvate in questo biennio – dall’ambito fiscale a quello societario – non sentono precisamente il fiato sul collo dello Stato; per non dire, meglio, che sarebbero ben legittimati a percepire una certa aria di premialità rispetto alle loro nobili gesta.

Insomma, in una linea di tendenza di politica – criminale di questo segno, i dubbi sul carattere meramente “simbolico”, per non dire direttamente diversivo, di un provvedimento legislativo in sé pure condivisibile come quello sull’omicidio stradale potrebbero anche non essere solo espressione di vieta “cultura del sospetto”.

 

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