Nella sua politica dei “piccoli passi”, mutuata da una massima andreottiana pervicacemente praticata dal divo Giulio, Denis Verdini orgoglioso della fiducia sulle unioni civili che rivendica come una causa nobile a cui Ala ha dato il suo fondamentale contributo si è già perfettamente posizionato per le amministrative a sostegno dei candidati renziani: Sala a Milano e Giachetti a Roma. E per Roma dove il risultato delle primarie non è certissimo ed il Pd gioca una partita più che difficile Verdini ha già mobilitato i suoi e ha annunciato il suo voto per Giachetti da sostenere a giugno con una lista civica; idem se a prevalere fosse Morassut.

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La disinvoltura di Denis è tale che il presidente Matteo Orfini, forse anche per ricordare che esiste, ha ritenuto di dover dire qualcosa e ha invitato un po’ tardivamente l’attivissimo fondatore di Ala a “farsi le primarie nel centrodestra”, con la precisazione un po’ spavalda “le nostre sono off limits per chi non è del centrosinistra”, come se non si fosse accorto che Verdini si sente ogni giorno di più uno di famiglia nel partito di Matteo Renzi.

I segnali rassicuranti ricevuti da Verdini da parte segretario-presidente, anche e soprattutto sul “piano personale” o per meglio dire processuale, dato che ha cinque processi pendenti ed è vittima di “una gogna mediatica senza fine” come ha ribadito nella recente intervista-monologo nel salotto di Bruno Vespa, sono molteplici e precisi. Alla scuola di formazione del Pd Matteo Renzi è ritornato con particolare puntiglio a sconfessare qualsiasi concessione al “giustizialismo mediatico” che per le nuove leve del suo partito è la deriva più pericolosa che alimenta il populismo e si contrappone all’idea di giustizia. La tirata “antigiustizialista” particolarmente gradita a Verdini ma che potrebbe sembrare un po’ estemporanea e ripetitiva era finalizzata a tranquillizzare il ministro Alfano e il sottosegretario Bubbico, indagati per abuso d’ufficio, e a rilanciare il dogma che “non ci si dimette per un avviso di garanzia” contrariamente a quanto in voga nell’ormai sepolta era della rottamazione quando lo slogan era “dimettersi prima ancora che arrivi un avviso di garanzia”.

Ma ancora più concreti dei proclami per un politico dedito ad un solido “pragmatismo”, come ama definirsi Verdini, sono le decisioni, in particolare sui fronti più strategici. E, per esempio, quella di rottamare alla presidenza dell’antimafia la “giustizialista” Rosy Bindi, tanto invisa a Vincenzo De Luca e ai vari “impresentabili” in lista che gli hanno consentito di vincere e di sostituirla con un suo fedelissimo Emanule Fiano, sicuramente più alieno da “tentazioni giustizialiste” che competente in materia, è un altro segnale alquanto incoraggiante.

Il ruolo e la figura di Verdini sembrano sempre più centrali e determinanti all’interno della vita del Pd come all’esterno del partito nella costruzione di quella rete di “moderati” a sostegno di Matteo Renzi già ampiamente avviata con il suo operoso e determinante contributo: non a caso sarà lui “l’ospite illustre” alla prossima convention romana del 19 marzo per “riunire tutte le siglette” che stanno fuori da FI, a cominciare da Scelta Civica.

E come per una corrispondenza di amorosi sensi politici, e non solo, Maria Elena Boschi sta lavorando ad un’altra “rete” concepita da Renzi e finalizzata sia a portare a casa la vittoria nel referendum costituzionale incentrato sulla sua persona, sia a consolidare il partito della nazione di cui i comitati per il sì saranno i centri di propulsione per “far entrare forze fresche” tra cui, non è da escludere, altri amici di Denis sul territorio.

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