È la prima volta, dalla fine della dittatura, che un candidato premier riceve un doppio no dal Congresso di Madrid. Quella del leader socialista e candidato premier Pedro Sanchez, respinto venerdì sera per la seconda e ultima volta, è quindi una bocciatura “storica”. Appoggiato solo dal partito di centrodestra Ciudadanos, Sanchez ha ottenuto 131 voti a favore (90 Psoe, 40 Ciudadanos, un nazionalista delle Canarie) e 219 contrari.

Nonostante i numerosi appelli delle ultime ore del Psoe, Podemos non si è mosso dalla linea del ‘no’. Sulla stessa linea anche il Pp del premier uscente Mariano Rajoy, rimasto irremovibile. Dalla fine della dittatura franchista solo due candidati premier, Leopoldo Calvo Sotelo nel 1981 e José Luis Zapatero nel 2004, erano stati bocciati al primo turno, per passare però al secondo. Adesso, a due mesi e mezzo dalle politiche del 20 dicembre che hanno prodotto un Congresso quasi ingovernabile, con la morte del bipartitismo Pp-Psoe e l’irruzione dei partiti del “nuovo”, Podemos a sinistra e Ciudadanos al centrodestra, la Spagna rimane immersa nel caos politico.

I socialisti hanno tentato fino all’ultimo di convincere i 65 deputati di Podemos almeno ad astenersi ma i viola hanno tenuto duro: fra i due partiti sono ancora aperte le cicatrici provocate dallo scontro di mercoledì fra il leader post-indignado Pablo Iglesias e il gruppo socialista durante il quale i deputati Psoe sono insorti con urla e fischi quando Iglesias ha accusato il leader storico socialista Felipe Gonzalez di avere “un passato macchiato dalla calce viva” a causa dei suoi legami con il gruppo paramilitare anti-Eta del Gal. Dopo l’episodio i socialisti hanno chiesto le scuse del leader di Podemos, che però lo ha escluso. Oggi è stato invece Rajoy a fare ribollire i banchi socialisti accusando Sanchez di avere strumentalizzato le istituzioni con una “candidatura fasulla” studiata per garantire “la propria sopravvivenza politica”: “anche questa è corruzione” ha accusato, fra le grida di protesta dei socialisti.

È dal 20 dicembre che la politica spagnola si trova nel caos e da lunedì prossimo dovrà affrontare il “terzo turno“. E sarà Felipe VI a decidere nuovamente se e a chi affidare il prossimo tentativo, ad alto rischio dopo il rifiuto ottenuto da Sanchez lo scorso mese. Dal canto loro Pp e Podemos hanno fatto sapere che “da domani” offriranno un dialogo al Psoe. Sanchez finora ha rifiutato qualsiasi contatto con il premier uscente ma in ogni caso rimane l’ago della bilancia di un possibile governo prima del ritorno alle urne.

Iglesias propone invece un governo di sinistra con Psoe e Izquierda Unida, che avrebbe 161 deputati su 350 e passerebbe con l’astensione di nazionalisti e secessionisti baschi e catalani. L’indipendentista catalano Francesc Homs oggi ha offerto a Sanchez di appoggiare un suo governo di sinistra in cambio di un referendum ufficiale sulla autodeterminazione della Catalogna, che il Psoe rifiuta. Per inventare la formula magica che faccia uscire la Spagna dal caos politico rimangono solo sette settimane: senza un nuovo governo entro il 2 maggio il paese tornerà alle urne il 26 giugno. “Si intravede che non ci sarà un governo fino all’autunno” avverte El Pais, che parla di “un paese sull’orlo della bancarotta politica“.

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