Il costituzionalista mette sotto accusa la procedura ideata dal governo che esclude l’Aula: "Ormai sta maturando la spiacevole abitudine a fare guerre praticamente senza dichiararle, ma quando si decide una missione militare il Parlamento non può essere eluso"
Professor Alessandro Pace, l’Italia di fatto è entrata in guerra in Libia. Prima ha fornito supporto logistico agli alleati, presto sarà anche sul campo. Il Corriere ci informa che è tutto deciso, dalla linea di comando alle regole d’ingaggio. Tutto determinato in un decreto secretato del presidente del Consiglio del 10 febbraio. Il Parlamento assiste in silenzio. È normale?
No, sarebbe gravissimo. La missione militare in Libia dovrebbe essere prima essere autorizzata dalle commissioni congiunte Difesa ed Esteri, mediante una risoluzione. Quanto agli aspetti finanziari, in genere è un decreto legge del governo a finanziare le missioni militare e a determinare lo status dei militari, col conseguente controllo parlamentare in sede di conversione del decreto. Questa è la cornice normativa. Ormai sta maturando la spiacevole abitudine a fare guerre praticamente senza dichiararle, ma quando si decide una missione militare il Parlamento non può essere eluso, come sembra stia avvenendo. Purtroppo non è una dinamica sorprendente.
Cosa intende?
È una tendenza consolidata, quella di indebolire il Parlamento. Si vede anche in questa orrenda riforma costituzionale: la deliberazione sullo stato di guerra, quindi sulla missione militare, spetta soltanto alla Camera dei deputati, mentre avrebbe dovuto essere bicamerale. Una scelta in linea con il percorso intrapreso negli ultimi anni: prima una legge elettorale che trasforma in maggioranza un partito che ha preso il 25 per cento dei voti alle elezioni, poi quella stessa maggioranza manomette il Senato e annichilisce il Parlamento, nel nome di un rapporto verticale con l’esecutivo, privo di equilibrio.
Nel caso del nostro intervento in Libia, peraltro, le operazioni delle unità speciali militari saranno dirette dai servizi segreti. La guida sarà affidata all’Aise, il servizio segreto per la sicurezza esterna. L’Aise risponde al premier, non alla Difesa.
Dice davvero? Mi dà una notizia che non conoscevo. Trasecolo.
Il decreto del presidente del Consiglio del 10 febbraio specifica che “nelle situazioni di crisi e di emergenza che richiedono l’attuazione di provvedimenti eccezionali e urgenti il premier può autorizzare, avvalendosi del Dis, l’Aise ad adottare misure di intelligence e di contrasto anche con la cooperazione tecnica operativa fornita dalle forze speciali della Difesa”. In poche parole, spiega il Corriere, “licenza di uccidere e impunità per eventuali reati commessi”.
Faccio fatica a credere a quello che dice. È una pazzia. È impossibile che siano i servizi segreti a guidare le operazioni. Le funzioni istituzionali dell’Aise concernono le “informazioni per la sicurezza anche al di fuori del territorio nazionale”, non la direzione delle operazioni di unità speciali. Insomma, non è il loro mestiere, quello di guidare una missione all’estero.
C’è chi definisce quella in Libia una “guerra informale” all’Isis.
La definizione già fa ridere, ma una guerra informale non è comunque una guerra segreta. Io non credo possano arrivare a una bestialità di questo genere, al di là del bene e del male: ci faremmo ridere dietro dal resto del mondo.
Da Il Fatto Quotidiano del 04/03/2016