“La nomina a direttore della Reggia di Caserta mi riempie di orgoglio. Per un dirigente pubblico che ha dedicato la propria vita professionale alla cultura è un riconoscimento che fa un enorme piacere… Mi attende una nuova fantastica e impegnativa sfida che mi accingo ad affrontare con umiltà, volontà di ascolto e desiderio di imparare”, diceva all’Ansa Mauro Felicori nell’agosto scorso. E’ più che probabile che alla Reggia debbano aver equivocato quel riferimento all’“umiltà, all’ascolto e al desiderio di imparare. E poi veniva da Bologna. Ipotizzare che la sua presenza settimanale sarebbe stata ridotta quasi naturale. Insomma tutto lasciava presagire che alla Reggia tutto sarebbe rimasto com’era. Bazaar abusivi, venditori ambulanti, chiromanti che predicono il futuro. Il tutto tra i rifiuti. E poi le automobili dei dipendenti che circolano indisturbate all’interno del parco. Mentre all’interno non erano poche le parti interdette alle visite. Un caos ormai cronicizzato che aveva finito per influire sugli ingressi. Letteralmente crollati.
Poco più di cinque mesi dopo, situazione quasi capovolta. Ingressi aumentati considerevolmente. Introdotte regole chiare, soprattutto per il personale in organico. Una per tutte. Eliminato il giorno di chiusura del martedì. Il sito aperto sette giorni su sette. E poi la scelta di essere in loco dalla mattina alla sera. Ben oltre l’orario di chiusura. “Il direttore permane nella struttura fino a tarda ora senza che nessuno abbia comunicato e predisposto il servizio per tale permanenza. Tale comportamento mette a rischio l’intera struttura”, hanno scritto i rappresentanti di sindacati quali Uilpa, Ugl-Intesa, Usb e Rsu, in una lettera inviata al ministro Franceschini e ai suoi più stretti collaboratori. Felicori trasformato in un pericolo. Per colpa della sua smania di darsi da fare. Ma è bastato pochissimo perché il sassolino lanciato dai sindacati si trasformasse in una valanga che ha finito per seppellirli.
Già perché i rappresentanti nazionali, intuendo quanto la presa di posizione fosse sbagliata, hanno fatto a gara a prenderne le distanze. Tentativo da quel che sembra fallito. Per rendersene conto è sufficiente leggere i commenti pubblicati sulla pagina Facebook della Reggia. “Dalla parte del direttore. … Via, chi non ha voglia!”, ma anche “I sindacati? Non hanno voglia di lavorare. Per questo che fanno finta di difendere i lavoratori”. Alla Reggia, come a Pompei nel passato recente, i sindacati hanno preso decisioni discutibili, nella sostanza e nelle modalità. Con il risultato di prestare il fianco alle facili critiche. Pressoché dell’intero Paese. Circostanza che Renzi non ha evitato di amplificare chiudendo nel post su Facebook il suo ragionamento con “Il vento è cambiato. Viva la cultura, viva l’Italia che si impegna”.
“Questo direttore lavora troppo. Così non va”. Questo il grido d’allarme lanciato contro il nuovo direttore della Reggia…
Pubblicato da Matteo Renzi su Venerdì 4 marzo 2016
Una spruzzata di consueta demagogia su una questione seria. Perché è innegabile che la Reggia sia uno dei luoghi della cultura italiana più simbolici. Ed è altrettanto innegabile che Felicori abbia creato quel corto circuito necessario per renderla maggiormente fruibile. Per restituirle quel decoro che da tempo le manca. Anche per questo le rappresentanze sindacali male hanno fatto a denunciare una non conforme gestione del personale. Sia per quanto riguarda i ruoli che gli orari. Che questo rilievo si sarebbe con buone probabilità potuto trasformare in un’accusa di scarsa dedizione al lavoro era più di una semplice possibilità. Alla quale però le rappresentanze sindacali non sembrano aver pensato. Con il risultato che un altro rilievo non avesse la necessaria visibilità. Pur meritandola ampiamente. Utilizzare il personale in eventi organizzati all’interno del Monumento, “distraendolo dal servizio istituzionale per utilizzarlo a servizio di terzi, con la conseguente riduzione degli spazi di fruizione riducendo la tutela e la sicurezza del museo” non è una questione secondaria. Perché travalica la querelle sulla Reggia. Riguarda l’idea, evidentemente perseguita anche a Caserta, che la valorizzazione non contempli deroghe. L’azienda-Reggia deve produrre profitti, come d’altra parte è auspicabile che sia. Come questo obiettivo si raggiunga non è poi così importante, sostengono Renzie&Franceschini.
In questo hanno sbagliato le rappresentanze sindacali a Caserta. A non sottolineare quel che hanno scritto quasi per inciso. A denunciare quel che probabilmente andava accettato, dopo anni di anarchia. E così, tra evidenti strumentalizzazioni politiche, Renzi gongola per l’insperato autogol dei sindacati. “Viva la Cultura, viva l’Italia che s’impegna” più che la frase di un premier sembra il refrain di una canzone di Elio e le storie tese.