"Boettcher è un sadico psicopatico" che "si atteggia a dio" e come tale pretende di essere considerato dalle sue donne" ha detto il pubblico ministero durante la requisitoria. L'imputato è stato già condannato a 14 anni per aver sfigurato Pietro Barbini
“Boettcher è un sadico psicopatico” che “si atteggia a dio” e come tale pretende di essere considerato dalle sue donne. Il pm di Milano Marcello Musso ha chiesto ventisei anni di carcere per Alexander Boettcher, imputato per una serie di aggressioni con l’acido e già condannato a 14 anni per aver sfigurato Pietro Barbini. Stessa condanna inflitta all’amante, Martina Levato, anche già condannata in abbreviato a 16 anni nel processo bis sulle altre aggressioni nei confronti di Stefano Savi, Giuliano Carparelli e Antonio Margarito. Il presunto complice Andrea Magnani è stato già condannato a nove anni e quattro mesi per le aggressioni.
Il pm ha individuato come episodio più grave al centro del processo contro Boettcher l’aggressione a Stefano Savi con “indebolimento permanente della vista, dell’olfatto e del tatto”. Secondo l’accusa l’imputato è “un giovane rampollo di una famiglia ricca”, dalla quale si fa mantenere, un “figlio di papà che si atteggia a dio” e che va punito con una “pena severa“.
La pena in questo processo “richiama quelle dei processi per omicidio ma nei casi di omicidio non c’è la stessa percezione del male, perché i corpi sono tumulati, mentre qua c’è la speciale gravità del male perché i corpi li abbiamo visti nel corso delle udienze”. Nel chiedere la “severa” condanna per il broker il pm ha chiesto che non venga concessa alcuna attenuante all’imputato. Imputato che “si è sempre dichiarato innocente, senza dimostrare alcuna sensibilità nei confronti delle vittime”
I giudici dell’XI sezione penale di Milano, davanti ai quali si celebra il processo, prima dell’inizio della requisitoria avevano respinto tutte le richieste di nuove prove della difesa di Boettcher, inclusa quella di ritenere nullo l’esame dell’imputato, perché “è impossibile pensare che un imputato decida di sottoporsi all’esame in aula se non è preparato e consapevole delle proprie asserzioni”.