Durante le imperative commemorazioni globali per la scomparsa di David Bowie (meramente fisica, dacché da tempo la sua arte lo aveva consegnato alla gloria immortale), i commossi celebranti, forzati dall’obbligo di omaggiare un’opera immensa in tributi necessariamente antologici,hanno tralasciato una delle più inquietanti profezie del geniale Duca Bianco, di cui tra poco ricorrerà il ventennale. Mi riferisco al brano I’m afraid of Americans, contenuto nell’album Earthling del 1997.
Il perché è presto detto, per coloro che non lo avessero ancora intuito. Vi ricordate George W. Bush, il presidente guerrafondaio, testardamente ottuso, l’imbarazzante gaffeur con gravi problemi di sintassi, lo statista dall’ignoranza abissale, sbugiardato sistematicamente dai suoi stessi collaboratori? Ebbene, rispetto all’attuale probabile candidato repubblicano alle elezioni presidenziali, l’impresentabile Donald Trump, egli appare immerso nella luce mitopoetica di Arjuna, l’eroico combattente ispirato dal divino Krishna nella Bhagavad Gita.
Persino in casa nostra, il personaggio che ha incarnato al potere i peggiori incubi pasoliniani sull’omologazione culturale, colui che ha contribuito a distruggere la cultura e la dignità femminile in Italia, per molti la quintessenza dei difetti italici, beh, a confronto di Trump risalta nobilmente come un moderno Principe di Machiavelli, figura da lui presa a modello e di cui ha rappresentato il grottesco capovolgimento parodistico..
Al cospetto dell’imprenditore americano, perfino Salvini potrebbe sembrare…no, scusate, d’accordo con le iperboli, ma non esageriamo.
Ora, posto che un uomo con la capigliatura di Trump dovrebbe essere arrestato o quantomeno inibito dei diritti civili per motivi squisitamente estetici, non credo sia nemmeno necessario addentrarci nella sostanza (?) delle rivendicazioni politiche che egli potrebbe rappresentare.
Lasciamo perdere le citazioni da Mussolini, l’annunciata volontà di vietare l’ingresso ai musulmani negli U.S.A. o di chiudere Internet perché “alimenta allarmismi”, il dichiarato razzismo (“i migranti dal confine Sud sono tutti criminali e stupratori”), il becero maschilismo (ad esempio le battutacce sulla sindrome mestruale ad una giornalista che lo incalzava) o il rimpianto espresso nei confronti dei bei tempi andati in cui c’era Saddam Hussein.
Fermiamoci, vi prego, al limitato campo dell’antropologia culturale. “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”, ammoniva in una delle sue celebre massime il sommo Johann Wolfgang von Goethe.
Vorrei, a tal proposito,ricordare come tra le più prestigiose dichiarazioni di appoggio pubblico (qualsiasi parafrasi, per quanto contorta, è preferibile ad endorsement), ricevute dall’uomo col riporto più evidente d’America, risplenda quella di Dan Bilzerian.
Per chi non conoscesse la fama internazionale del personaggio, ardirei affermare che egli si scosta dal profilo canonico d’un intellettuale dagli ideali umanitari. Figlio di Paul Bilzerian, condannato per bancarotta, il trentacinquenne Dan deve la sua fama alla sua ricchezza spropositata (che lui dichiara provenire unicamente dal suo talento al poker) e al conseguente stile di vita che conduce: si fa ritrarre quotidianamente mentre imbraccia fucili e pistole, con donne seminude ai suoi piedi, descrivendo dettagliatamente le, potremmo dire, modalità di conquista delle stesse. Tra le sue imprese più degne di nota, l’aver rotto un piede ad una pornoattrice diciottenne avendola gettata senza preavviso, al termine di un servizio fotografico, da un terrazzo in una piscina sottostante.
A quanto pare la bravura con le carte non corrisponde necessariamente a una buona mira. Questo è il tipo di persone che sarebbe rappresentata al governo del paese più potente del mondo in caso di vittoria di Trump, questi i valori dominanti: armi, donne oggetto, gioco d’azzardo, razzismo.
Personaggi oltre ogni possibile sarcasmo, che sembrano partoriti dalla fantasia di Frank Zappa nelle sue più feroci satire volte a ridicolizzare la stupidità dell’America bigotta. La realtà, infatti, supera sempre la parodia. Quindici anni fa in una puntata dei Simpson si era paventata, come paradossale trovata comica, la candidatura di Trump a presidente degli Stati Uniti. Tutti ne ridemmo. Ora, come ha avvertito il sempre puntuale Noam Chomsky, una vittoria di Trump potrebbe davvero rappresentare un serio pericolo per l’umanità.
Non c’è nulla da ridere.