Un vecchio adagio recita “di necessità virtù”. Un semplice concetto adottato anche da una giovane coppia di designer milanesi.
Linda Ovadia e Gianluca Iovine a un certo punto si sono detti: “Ok, abbiamo tante cose belle nell’armadio, perché non le vendiamo?”. Si sono grattati la testa, hanno trovato una location un po’ da battaglia (insomma, che costasse poco), hanno sparso la voce tra amici per far gruppo e si sono messi a fare un mercatino. Fin qui nulla di sconvolgente, la magia avviene dopo.
I due, da anime inquiete, avevano già gironzolato per vari mercatini di strada (in inglese si chiamano flea market, ovvero mercatini delle pulci). Il loro mercatino di riferimento era quello londinese di Bricklane. Per tutti quelli che non lo conoscono si tratta di un aggregato di ex magazzini dell’epoca industriale inglese un pò ammuffiti e strade strette pavimentate di mattoni (“bricklane” significa infatti “via dei mattoni”).
“Inizialmente ci siamo messi su Facebook per trovare gente che volesse vendere da noi, pubblicando belle foto che rendessero il mood che volevamo ispirare” mi spiega Linda. “Lo spazio, dopo le prime edizioni, non ci bastava, quindi ci siamo dovuto trovare un’altra location” e di qui i due spostano l’East Market nella attuale posizione vicino a Lambrate, un’area, diciamocelo, non famosa per shopping e turismo. “Il proprietario inizialmente pensava fossimo dei tossici che volevano fare casino, concerti e roba cosi” scherza Linda “poi quando dati alla mano ha visto che eravamo professionali ci ha concesso fiducia e affittato gli spazi”.
La magia prende piede e gli espositori aumentano: “Oggi contiamo 225 espositori non food. Ci sono cose da collezioni private che le persone vogliono vendere, videogame anni ‘80, una ragazza che crea lampade con telefoni vintage. Ci sono una serie di creativi che partono dal collezionismo. E poi i collezionisti di modernariato”.
L’altra magia di cui parlo è il cambiamento urbano. A Milano, come in tutte le grandi città si discute spesso di riqualificazione urbana e di crescita di progetti sociali. Belle parole, a cui spesso corrispondono investimenti importanti. Qui la magia la fanno due ragazzi. “Rapporti con il vicinato? La maggior parte ci hanno accolto a braccia aperte. La zona si è rivalutata. Conosciamo le persone che durante le edizioni di East Market affittano la casa per gli espositori. Le attività commerciali tengono aperto anche di sera. Ovvio poi c’è una piccola percentuale di chi si lamenta. Il consiglio di zona, a cui abbiamo partecipato, ci supporta molto e trova che sia un evento che porta cose positive alla zona. I turisti a Lambrate sono una novità che fa piacere a tutti”.
“Noi siamo una Srl per profitto. Siamo indipendenti. Abbiamo creato una squadra di persone, circa 25 nei momenti di picco, tra baristi, addetti logistica, sicurezza. Nel nostro piccolo abbiamo creato lavoro”, raccontano. La creatività e l’informalità è alla base dei due ragazzi, “abbiamo aperto collaborazioni con Heineken e Jameson, sempre nell’ottica di mantenere il nostro stile”, mi spiega Linda mentre sorseggia un caffé all’orzo.
“Abbiamo un flusso di tutto rispetto di circa 15000 persone, cerchiamo sempre di inserire nuovi espositori per mantenere vivo l’interesse”.
Ovviamente c’è sempre il rischio di “commercializzarsi” e diventare semplicemente il pupazzo di qualche multinazionale che cerca il progetto “alternativo” da sponsorizzare.
“La cosa che fa da padrona a East Market è l’unicità, qui le cose sono uniche nel loro genere. Come il Jameson Ginger Ale, il nostro drink ufficiale. A noi interessa che rimanga cool, quindi non commerciale. Quindi ci hanno proposto tantissime cose, abbiamo avuto proposte di “brand” dove appiccicare il nostro marchio e associarlo ad altri. Attualmente tutti sfruttano il movimento per crearsi le loro piccole realtà. Per noi non è una moda. Volevamo creare una realtà che dura nel tempo. Non vogliamo creare il trend del momento, anche se ovvio al momento è un trend.”
Idee sull’estero? “Stiamo creando il brand: anche l’idea di espanderci all’estero ci piace. Ad esempio a Sidney, dove ci hanno detto che c’è una zona industriale simile a questa. E anche l’Italia è stupenda, ma ogni cosa in Italia deve avere il suo posto. Ci è stata proposta, dove ci sono vecchie zone industriali di Burano. A volte sono proposte che abbiamo ricevuto da proprietari di immobili, a volte da aziende. In Italia potrebbe essere solo in un modo. Entriamo in un posto pazzesco e ci innamoriamo. Deve essere anche un modello di mercato post industriale che quindi che abbia un suo valore”.
E poi c’è la parte cibo, partita da poco, ma che ha già acquisito la sua discreta quantità di fan: “La parte food per ora non è un food truck festival, ovviamente le cose si stanno ancora evolvendo. La direzione che vorremo dare è quella di un evento di food. Contaminare la cucina italiana con stili che vengono da tutto il mondo. Se noi andassimo a New York faremmo una cosa del genere. Quindi in Italia è bello contaminare. Portare cibo dal mondo. Anche nello stile italiano abbiamo avuto cose molto particolari, come un negozio storico di Ancona che faceva le olive ascolane, coltivate da loro. Zibo sono due chef gourmet che hanno portato il loro raviolo con zola e bacon. L’idea è quella di avere un format internazionale come Smorgasburg di ny o Bricklane.” La cosa funziona. Ormai passato l’anno di test questa start-up (si perché non esistono solo le cose “fighe” in internet) sta crescendo di mese in mese.
@enricoverga