La ricerca dell'Università di Torino sulla Zona 9 del capoluogo lombardo fa emergere un fenomeno che compare raramente nelle inchieste antimafia. E il 18,7% degli intervistati afferma di conoscere "almeno una vittima di estorsione". Percentuali simili per l'usura. "Scarsa conoscenza di tutele e finanziamenti per chi denuncia". E la precezione della corruzione mina la fiducia nella risposta dello Stato. Oggi la presentazione con Gratteri
L’8,4% dei commercianti della Zona 9 di Milano dichiara di pagare, o aver pagato, il pizzo. E il 18,7% afferma di conoscere almeno una vittima di estorsione. Parliamo di una fetta importante della città, che va dal quartiere periferico di Affori-Bruzzano (storico feudo del clan di ‘ndrangheta dei Flachi) ai grattacieli e ai locali notturni di Isola-Garibaldi-Repubblica (nella foto), passando per lo storico Niguarda-Prato Centenaro. E’ il risultato di una ricerca presentata oggi, lunedì 7 marzo, a Milano (alle 18 all’auditorium Ca’ Granda in viale Ca’ Granda 19). Al tavolo, fra gli altri, Nicola Gratteri, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria autore di diversi libri sulla ‘ndrangheta. La ricerca “Criminalità organizzata, contesto di legalità e sicurezza urbana” è stata coordinata da Rocco Sciarrone, sociologo da anni impegnato in studi sull’espansione mafiosa fuori dalle aree tradizionali, e realizzata dai ricercatori Joselle Dagnes e Luca Storti del Dipartimento di culture, politica e società dell’Università di Torino. In collaborazione con l’associazione Civitas Virtus, lo studio ha raccolto 467 questionari compilati da commercianti, ristoratori e artigiani della zona 9.
Il dato sul “pizzo” è fra i più interessanti, perché sebbene la presenza di tutte le organizzazioni mafiose a Milano e in Lombardia sia assodata da decenni, non si ricordano inchieste giudiziarie da cui sia stato svelato il sistematico taglieggiamento di negozi e locali da parte delle cosche trapiantate nel capoluogo lombardo. Più diffusa, invece, l’imposizione di aziende mafiose in lavori e forniture. Dalla ricerca emerge invece che il 65% dei rispondenti lo ritiene “un problema rilevante”, e che appunto nella zona 9 quasi uno su dieci lo ha sperimentato sulla propria pelle. E il pizzo di cui si parla è proprio quello tradizionale, cioè la richiesta di denaro, secondo il 59,9% dei rispondenti, mentre “meno diffuse sono ritenute forme quali l’imposizione di forniture o personale”.
Ilda Boccassini e gli altri magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Milano denunciano spesso l’omertà alla milanese incontrata durante indagini in cui le vittime dei clan non denunciano mai spontaneamente. Nella ricerca del gruppo di Sciarrone, il 39,7% dichiara che si rivolgerebbe alle forze dell’ordine e oltre il 28,6% si dichiara disposto a chiudere la propria attività o a trasferirla altrove piuttosto che accettare la richiesta. Il 14,3% si rivolgerebbe a un’associazione antiracket, ma l’11,7% cercherebbe invece “l’intervento di un intermediario per evitare di pagare”. L’83% dei rispondenti, però, non è a conoscenza della tutela e i dei benefici economici che la legge riserva a chi denuncia una tentata estorsione. “Un deficit”, sottolineano i sociologi dell’Università di Torino, “che depotenzia la discreta propensione a denunciare”.
Le estorsioni sembrano andare di pari passo con l’usura, reato che invece compare regolarmente nelle principali inchieste sulla ‘ndrangheta in Lombardia, con storie drammatiche e diffuse di minacce, pestaggi e soprusi. L’8,4% afferma di esserne stato vittima, il 17,4% dichiara di aver conosciuto persone sottoposte a prestiti a strozzo e il 77,6% del campione considera il fenomeno “abbastanza o molto diffuso a Milano”. “Anche in questo caso è scarsissima la conoscenza dei benefici di legge dedicati a chi denuncia l’attività usuraia: meno del 18% ne ha un’idea”, osservano i ricercatori.
Lo studio tocca diversi fronti dell’illegalità percepita (e sperimentata) in questa zona di Milano, dalla microcriminalita alla mafia alla corruzione. “Gli operatori economici interpellati hanno una visione articolata delle condizioni di legalità e della presenza di fenomeni criminali nel contesto cittadino”, spiegano i ricercatori. “Non negano, né sottovalutano, l’esistenza di tali fenomeni, senza tuttavia assecondare letture sensazionalistiche o allarmanti”. E sono consapevoli del rischio mafioso – per decenni negato dalle massime autorità cittadine – “soprattutto per quanto riguarda l’infiltrazione nell’economia locale”. Ma ancora più preoccupanti dell’abbraccio soffocante dei clan sono considerati i “fenomeni legati alla corruzione politica ed economica”. Cosa che mina la fiducia nelle istituzioni. E di conseguenza, concludono i ricercatori, la disponibilità a rivolgersi allo Stato per denunciare.