Se le donne, ancora, hanno bisogno di una giornata a loro dedicata, per quanto mi riguarda è una sconfitta sociale; qualcosa che mi ricorda che non si è fatto abbastanza e che abbiamo ancora rivendicazioni e disuguaglianze, e poche tutele, e subiamo ancora torti e umiliazioni in molte parti del mondo e non siamo ancora in grado di essere persone completamente appagate in famiglia e sul lavoro perché sempre costrette a fare scelte che precludono una delle due sfere. Perché la legge sull’aborto in Italia è legge svuotata sempre di più dall’obiezione di coscienza, e ancora nel mondo alcune donne fanno paura e vengono assassinate, e fanno paura nelle case, nei piccoli paesi, e ancora vengono picchiate, e uccise per niente. Per niente. O forse per paura di non essere più in grado di sottomettere e perseverare il tentativo di produrre ubbidienza.
L’8 marzo, come spesso accade per altre circostanze e ricorrenze, diventa una festa senza senso se non è sostenuta da una sua storia, e in questo caso la storia parte agli inizi del ‘900. L’8 marzo per me sono le donne socialiste americane del 1908 e del 1910, quelle donne capaci di iniziare un percorso che poneva l’attenzione sulla condizione femminile dell’epoca, prime promotrici storiche dell’istituzione di una comune giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne con l’obbiettivo di istituire una grande manifestazione che unisse le rivendicazioni sindacali a quelle politiche relative al riconoscimento del diritto di voto femminile; sono le donne di San Pietroburgo che nel 1917 guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra e che portò successivamente al crollo dello zarismo; sono le donne partigiane della seconda guerra mondiale che hanno saputo prendere parte alla liberazione del nostro paese dal nazi-fascismo, sono le donne che in piazza hanno preso coscienza del proprio corpo e dei diritti negati negli anni settanta.
Ma la memoria è importante e ha un senso se non resta fine a se stessa; le donne hanno vinto in passato nel mondo occidentale battaglie importanti, ma le battaglie non finiscono con la conquista di alcuni diritti acquisiti o presunti. E allora la memoria va attualizzata, e l’8 marzo sono oggi le donne siriane e la resistenza armata delle donne curde all’Isis. O Waris Dirie, donna somala tra le più attive nel mondo contro la pratica dell’infibulazione femminile, pratica infame che coinvolge ancora 130 milioni di bambine in ventotto paesi africani. E Yolanda Oquelí, la leader di Frenam, un gruppo di resistenza pacifica del Guatemala che lotta per la propria terra. Malala Yousafzay, che a soli 17 anni è la più giovane ad aver mai ricevuto il Nobel; giovanissima, ma con già cento vite alle spalle, combattente in Pakistan, nel suo Paese, contro l’oscurantismo dei talebani e per il diritto all’istruzione delle donne pakistane, vittima nel 2012 di un attentato dei talebani; Mobina Sai Khairandish, donna afgana di 30 anni che da otto dirige la Rabia Balkhi Radio (RBR), una delle prime stazioni radiofoniche indipendenti istituite in Afghanistan dopo la caduta del regime talebano. L’8 marzo Berta Càceres, pasionaria che difendeva in Honduras i diritti delle popolazioni indigene contro la rapina delle multinazionali, assassinata solo la settimana scorsa; era riuscita a fermare la costruzione di un complesso idroelettrico sul fiume Rio Gualcarque.
E quanti nomi ho tralasciato della nostra attualità, e quanti non ne conosciamo, o semplicemente ignoriamo. Solo pochissimi esempi di donne che resistono, e lo fanno ognuna nel proprio modo, con i propri mezzi e strumenti. L’8 marzo, sono le tante donne che denunciano i maltrattamenti subiti, quelle che fuggono dalla guerra con i figli in grembo e il rumore delle bombe nelle orecchie, e le spose bambine; sono le donne appassionate della vita, che ogni giorno lottano con quella scatola chiusa in cui vengono inserite da piccole, fatta di doveri preconfezionati e soddisfazioni già decise da qualcun altro.
Sono quelle donne che non aspettano che qualcuno le vada a salvare, ma che credono nella forza delle proprie capacità e le mettono in campo con coraggio anche per chi non ne ha la forza o la possibilità. Che l’8 marzo sia quindi la giornata internazionale della donna, delle sue battaglie e delle tante conquiste di cui ancora abbiamo fame; festa di piazza per tradizione e non di “pizza”. Perché i fiori che ci regalerete, sono ancora incolore e non profumano di libertà.