I magistrati del capoluogo fiorentino indagano sull'appalto ventennale da 160 milioni di euro vinto da Sei Toscana, il nuovo gestore del servizio integrato dei di raccolta nelle provincie dell’Ato Toscana Sud (Arezzo, Grosseto e Siena) e di cui l'istituto di credito possiede il 2,5%. Almeno sei gli indagati, tra essi anche l'ex consigliere di Etruria Nataloni
Ancora guai per gli ex vertici di Banca Etruria e le attività dell’istituto aretino. Extra creditizie, però. E, in particolare, quelle nei rifiuti, in cui la banca era presente grazie alla partecipazione del 2,5% circa di Sei Toscana, il nuovo gestore del servizio integrato dei rifiuti urbani nelle provincie dell’Ato Toscana Sud (Arezzo, Grosseto e Siena). Un appalto ventennale da circa 160 milioni l’anno vinto nel 2013 ora finito nel mirino della procura di Firenze che, riferiscono La Nazione e Repubblica Firenze, indaga per turbativa d’asta. L’ipotesi degli inquirenti è che il bando di gara è stato tagliato su misura del vincitore.
Banca Etruria era entrata nell’affare un anno prima della gara, nel 2011, rilevando il 9,5% di uno degli azionisti di Sei Toscana, Sta, in occasione di un aumento di capitale. Non solo. L’istituto, insieme all’ex azionista Monte dei Paschi, è tra i finanziatori della società che a fine 2014 aveva quasi 14 milioni di debiti con le banche. I protagonisti principali dell’operazione sono gli stessi che in quegli anni hanno portato l’istituto a investire negli outlet in Toscana, Abruzzo e Cina. Ovvero Giuseppe Fornasari, all’epoca presidente della banca e oggi in attesa di verdetto sul rinvio a giudizio per ostacolo alla vigilanza chiesto dalla Procura di Arezzo. In prima linea c’era però il suo successore Lorenzo Rosi, oggi indagato per omessa dichiarazione di conflitto d’interesse, che nel 2011 era consigliere dell’istituto, presidente di Sta e al vertice della cooperativa Castelnuovese, altro grande socio nonché partner tecnico di Sei, di cui detiene ancora l’11% circa accanto al colosso emiliano Unieco e ai fiorentini di Cooplat. Con loro l’onnipresente Luciano Nataloni, che secondo la stampa locale sarebbe tra i sette indagati per l’appalto. Il commercialista fiorentino nel 2011 ha chiuso un mandato ultradecennale alla presidenza del collegio sindacale della Castelnuovese, tenendosi l’incarico di consigliere di Banca Federico del Vecchio (gruppo Etruria) cui avrebbe presto sommato un ruolo analogo nella capogruppo aretina, per il quale è oggi indagato insieme a Rosi. Chiude le fila Alessio Ferrabuoi, attuale presidente della Castelnuovese, consigliere di Sta ed ex sindaco di Laterina, il paese natale della famiglia Boschi che nel 1995 aveva sconfitto il padre del ministro nella corsa a primo cittadino del comune toscano.
Il ruolo più operativo nel business dei rifiuti è però toccato a Eros Organni, che insieme a Nataloni e al collega Dario Capobianco aveva curato la presentazione del progetto di Sei e, a gara vinta, ne è diventato amministratore delegato. A chi aveva criticato la nomina, il sindaco di Siena, Bruno Valentini, aveva risposto che si tratta di un “tecnico dei servizi pubblici locali”. E altrettanto avrebbe potuto dire del vicepresidente di Sei, il senese Fabrizio Vigni: ex consigliere provinciale e comunale di Siena, da parlamentare, tra il 1994 e il 2006, è stato membro della Commissione ambiente della Camera e ha partecipato alla Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Dal 2009 Vigni è anche presidente di un importante socio di Sei, Sienambiente, il gestore del piano provinciale dei rifiuti fondato alla fine degli anni ’80 dagli enti locali e da Mps, di cui Rosi è stato consigliere dal 1997 fino al 2002.
I nomi non sono casuali: tra i punti che gli inquirenti vogliono chiarire, ci sono i rapporti fra i consulenti dell’Ato, la società pubblica che ha bandito la gara, e i consulenti di Sei. Cioè lo studio legale fiorentino Mariani e Menaldi che ha scritto il bando e, appunto, Capobianco, Nataloni e Organni, che hanno lavorato alla proposta poi risultata vincente. Secondo gli investigatori, fra lo studio legale dell’appaltante e i commercialisti del raggruppamento concorrente c’erano rapporti professionali. Da qui le perquisizioni della Guardia di finanza avvenute nei giorni scorsi che hanno riguardato il direttore generale dell’Ato Toscana Sud, Andrea Corti, i tre commercialisti, Mariani, Menaldi e Vigni.
L’appalto era già finito nel mirino della Corte dei Conti, dopo un esposto firmato dal Movimento 5 Stelle. I pentastellati all’inizio avevano presentato una mozione in almeno 20 dei 100 comuni delle province di Arezzo, Siena e Grosseto. A seguire un’interrogazione in Consiglio regionale e l’esposto alla Corte dei Conti dopo il quale, a fine maggio 2015, la Guardia di Finanza aveva fatto la sua prima visita nella sede senese dell’Ato Toscana Sud acquisendo in 48 ore tutti gli atti relativi alla gara. Nel mirino degli esponenti durata, costi, requisiti di partecipazione e corrispettivo economico della gara. Per vincerla, ad esempio, le ditte interessate avrebbero dovuto mettere in preventivo un esborso di almeno 10 milioni e mezzo di euro per rimborsare ai precedenti gestori i crediti Tia non riscossi.
Una somma non da poco, tanto più che non era possibile stimarne i tempi precisi di ammortamento, visto che sempre nel bando era scritto che il servizio in questione “avrà durata non inferiore a 15 né superiore a 25 anni”. Altro requisito tecnico contestato è quello relativo alle competenze dei partecipanti, ai quali veniva chiesto di avere in gestione almeno un impianto di termovalorizzazione dei rifiuti. Se una società interessata lo aveva gestito in passato? Inutile e insufficiente a partecipare. Nel mirino, poi, le eccessive discrepanze tra il bando di gara e il contratto siglato dall’Ato. Tra queste voci di costo del servizio non presenti nello schema di contratto approvato dalla Giunta regionale che hanno portato alla stipula di due accordi integrativi (il secondo dei quali non sottoscritto da Sei Toscana) con il conseguente incremento del corrispettivo di oltre 12 milioni di euro.
Il costo del servizio in sé, poi, merita un capitolo a parte. Secondo il Movimento 5 Stelle, infatti, nel contratto era prevista un’iniziale fase transitoria (si parla di una durata di sei mesi) al termine della quale l’Ato e Sei Toscana avrebbero avviato un confronto finalizzato a quantificare il compenso da versare. Accusa a prima vista balzana, ma che trova riscontro nel bilancio 2014 presentato da Sei Toscana. Nel documento si legge testualmente che “la più rilevante criticità affrontata nel 2014 è stata senz’altro l’assenza di un corrispettivo definito per lo svolgimento delle nostre attività”. In pratica per il primo anno di attività, la Sei Toscana da contratto avrebbe dovuto incassare una cifra calcolata sulla base dei servizi offerti prima dell’avvio della gestione di ambito. A dicembre 2013, l’Ato fissò questa cifra provvisoria in 104 milioni di euro, che “doveva poi essere sostituita dalla quantificazione definitiva a seguito dell’applicazione dei parametri di gara al progetto dei servizi esecutivo”.
Di questi soldi, però, la Sei Toscana nel 2014 ha potuto fatturare solo 98 milioni di euro, “poiché a pochi mesi dall’avvio della gestione, l’Ato ridusse il corrispettivo provvisorio in modo del tutto unilaterale e senza alcun collegamento con la concreta progettazione dei servizi”. Di fronte a quest’atto, Sei Toscana ricorre al Tar. Si apre un contenzioso che viene risolto con una bozza d’accordo: Sei Toscana si impegna a non incassare subito il dovuto e acconsente ad introdurre un sistema graduale che, nell’arco di quattro anni, dai 98 milioni di partenza arrivi ai 104 dovuti. E il resto? Costituirà “una voce di credito che potrà essere regolata al termine della fase transitoria attraverso un eventuale allungamento della concessione“. Tradotto: l’appalto viene prorogato. In ogni caso “la bozza di accordo è stata approvata dall’assemblea di Ato, nonché dal cda di Sei Toscana ed è attualmente in corso di definizione”. Si vedrà.
Nel frattempo, Sei Toscana non ha perso tempo per commentare l’inchiesta per turbativa d’asta della Procura di Firenze. “Abbiamo piena fiducia nell’operato della magistratura e auspichiamo che si compiano al più presto tutte le verifiche necessarie a chiarire il procedimento di aggiudicazione del servizio, la cui correttezza riteniamo che alla fine verrà dimostrata” ha detto il presidente del raggruppamento di imprese Simone Viti. Tranquillità assoluta, insomma, tanto che Viti ha anche sottolineato che “questa fase di approfondimento dell’indagine, avviata oltre due anni fa, è per noi, finalmente, un modo per far luce una volta per tutte sul nostro operato”. Intanto però Sei Toscana ha già all’attivo due esercizi di gestione dei rifiuti delle province di Arezzo, Grosseto e Siena che il primo anno hanno fruttato 1,8 milioni di utili. E nel frattempo ha concorso anche per l’affidamento del centro (Firenze, Prato e Pistoia) e della costa (Livorno, Lucca, Massa Carrara e Pisa) della Toscana.