“Innumerevoli ricorsi” ai giudici del lavoro, davanti ai quali “l’amministrazione è, naturalmente, sempre soccombente“. Cioè perde. E deve mettere mano al portafogli, con esborsi fino a 20mila euro per ogni singolo caso. E’ il risultato dell’inadempienza dello Stato, che da 23 anni “per carenza di risorse economiche” non adegua ai livelli previsti dalla legge la retribuzione dei detenuti che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. I quali ricevono in media 2,5 euro l’ora. A mettere nero su bianco il paradosso, senza nascondere che “l’esponenziale aumento del contenzioso rende sempre più problematico un intervento teso a sanare la situazione”, è lo stesso ministero della Giustizia, nella relazione presentata al Senato dal titolare Andrea Orlando lo scorso 19 gennaio e firmata da Santi Consolo, capo del Dap. Via Arenula sta cercando di trovare una via di uscita, ma le “pezze” che vuole proporre sono peggiori del buco: rischiano di essere incostituzionali.
La “mercede” al palo dal 1994 – I detenuti che lavorano nelle carceri per distribuire i pasti, come impiegati nell’ufficio spesa o come addetti alle pulizie sono più di 10mila (altri 1.400 lavorano per soggetti esterni all’amministrazione, tra cui le cooperative sociali). In base all’articolo 22 dell’ordinamento penitenziario la loro paga, la cosiddetta “mercede“, non deve essere inferiore ai due terzi della retribuzione stabilita per gli altri lavoratori della stessa categoria dal contratto collettivo nazionale in vigore. Peccato che la Commissione ministeriale responsabile di disporre gli adeguamenti non lo faccia dal 1994 perché non ci sono i soldi. Per le mercedi vengono stanziati tra i 50 e i 60 milioni l’anno, a seconda delle presenze di detenuti, ma sempre stando alla relazione in caso di adeguamento servirebbero 50 milioni in più. Così con il passare degli anni la distanza tra i compensi di chi è “fuori” e chi è “dentro” si è allargata sempre di più. A questo va aggiunto che da agosto dello scorso anno la mercede ha subito una contrazione reale a causa dell’aumento, in alcuni casi del cento per cento, della quota di mantenimento, la cifra che ogni detenuto paga per i servizi che riceve in carcere.
La denuncia di Carte Bollate – Le tabelle con la retribuzione netta intascata dai detenuti sono state rese pubbliche da Carte Bollate, il magazine edito dai carcerati del penitenziario in provincia di Milano. “Da noi dipendono tutti i servizi: il funzionamento dei laboratori, le cucine, la distribuzione delle vivande, gli sportelli giuridici e sociali, le cooperative, le biblioteche, la distribuzione della spesa – si legge nel bimestrale – Tutto nelle case di detenzione funziona grazie al lavoro dei detenuti”. Le paghe nette? Da fame: uno scopino riceve 2,23 euro all’ora, uno spesino si ferma a 2,12 e un jolly arriva a 2,33. I più fortunati sono gli scrivani: due euro e settantaquattro centesimi. Notare che questi sono i nomi con cui il gergo ministeriale indica gli addetti alla distribuzione del vitto, all’ufficio e alla tabella spesa, ai quali è concessa una “mercede” in cambio del loro lavoro utile a portare avanti le strutture.
“Budget insufficiente incide su qualità della vita” – La gravità della situazione viene evidenziata dalla relazione presentata al Senato dal ministro Orlando lo scorso 19 gennaio. Il documento è firmato da Santi Consolo, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. La fotografia è deprimente e inequivocabile: “Non vi è dubbio che nel corso degli ultimi anni le inadeguate risorse finanziarie non hanno consentito l’affermazione di una cultura del lavoro all’interno degli istituti penitenziari”, scrive Consolo. Il budget per la remunerazione dei detenuti nelle attività quotidiane “sebbene incrementato” di recente è “ancora insufficiente” e “incide negativamente sulla qualità della vita”. La retribuzione dei detenuti non viene aggiornata dal 1993 “per carenze di risorse economiche”. Ma la beffa è che quello che lo Stato non paga deve poi versarlo a seguito delle sempre più frequenti cause presentate dagli ex detenuti. Il “mancato aumento delle mercede”, prosegue il documento, ha infatti innescato un “proliferare di ricorsi ai giudici del lavoro” davanti ai quali “l’amministrazione è, naturalmente, soccombente” con “ulteriori aggravi per la finanza pubblica”. Oltre a pagare le differenze retributive modulate sugli anni, lo Stato versa infatti “anche gli interessi e le relative spese di giudizio”.
Osservatorio Antigone: “Mai perso una causa” – Accade sempre più spesso, conferma a ilfattoquotidiano.it l’avvocatessa Simona Filippi, difensore civico dell’Osservatorio Antigone: “Assieme ad alcuni colleghi abbiamo aperto un fronte giuridico e politico da circa quattro anni. In circa quaranta cause intentate non ho mai ricevuto un rigetto”. Le sentenze dei giudici sono univoche e danno ragione agli ex detenuti corrispondendo risarcimenti che variano dai 2mila ai 20mila euro, a seconda del monte ore lavorato. “Visto che le retribuzioni sono ferme dal 1993 – si chiede Filippi – e che la legge prevede la facoltà, in realtà sempre applicata, di abbattere di un terzo i minimi dal contratto nazionale, perché quando è aumentato il mantenimento non è stata tolta la riduzione?”.
Le soluzioni: sganciare le paghe dai ccnl o crearne uno ad hoc. “Incostituzionale” – “La questione della retribuzione e delle spese che conseguono al contenzioso, che se risparmiate potrebbero rivalutare gli attuali parametri retributivi, dovrebbero trovare soluzione nelle modifiche all’Ordinamento penitenziario che presto saranno presentate a conclusione del lavoro di aggiornamento condotto dagli Stati generali istituti dal ministro Orlando”, spiega al fattoquotidiano.it Massimo De Pascalis, vice capo del Dap. Le soluzioni ipotizzate sembrano però una beffa per i detenuti: la prima consiste semplicemente nel prendere atto della situazione e sganciare le retribuzioni da quelle previste dai contratti collettivi in vigore. La seconda prevede l’istituzione di un contratto ad hoc per i carcerati, ovviamente con compensi molto più bassi di quelli che prendono gli altri lavoratori. Ma la Filippi avverte che entrambe le strade “difficilmente potranno essere giudicate costituzionali: il lavoro dei detenuti è uguale a quello di chi è fuori, la Suprema Corte lo ha già detto più volte”.
Giustizia & Impunità
Lavoro in carcere, i detenuti portano in tribunale lo Stato che li paga troppo poco. E vincono sempre
Da 23 anni la cosiddetta "mercede", cioè la retribuzione di chi lavora per l'amministrazione penitenziaria, non viene adeguata ai livelli previsti dalla legge perché non ci sono i soldi: è ferma a circa 2,5 euro l'ora. Innumerevoli i ricorsi. Il ministero della Giustizia sta cercando una via di uscita, ma le soluzioni che vuole proporre rischiano di essere incostituzionali
“Innumerevoli ricorsi” ai giudici del lavoro, davanti ai quali “l’amministrazione è, naturalmente, sempre soccombente“. Cioè perde. E deve mettere mano al portafogli, con esborsi fino a 20mila euro per ogni singolo caso. E’ il risultato dell’inadempienza dello Stato, che da 23 anni “per carenza di risorse economiche” non adegua ai livelli previsti dalla legge la retribuzione dei detenuti che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. I quali ricevono in media 2,5 euro l’ora. A mettere nero su bianco il paradosso, senza nascondere che “l’esponenziale aumento del contenzioso rende sempre più problematico un intervento teso a sanare la situazione”, è lo stesso ministero della Giustizia, nella relazione presentata al Senato dal titolare Andrea Orlando lo scorso 19 gennaio e firmata da Santi Consolo, capo del Dap. Via Arenula sta cercando di trovare una via di uscita, ma le “pezze” che vuole proporre sono peggiori del buco: rischiano di essere incostituzionali.
La “mercede” al palo dal 1994 – I detenuti che lavorano nelle carceri per distribuire i pasti, come impiegati nell’ufficio spesa o come addetti alle pulizie sono più di 10mila (altri 1.400 lavorano per soggetti esterni all’amministrazione, tra cui le cooperative sociali). In base all’articolo 22 dell’ordinamento penitenziario la loro paga, la cosiddetta “mercede“, non deve essere inferiore ai due terzi della retribuzione stabilita per gli altri lavoratori della stessa categoria dal contratto collettivo nazionale in vigore. Peccato che la Commissione ministeriale responsabile di disporre gli adeguamenti non lo faccia dal 1994 perché non ci sono i soldi. Per le mercedi vengono stanziati tra i 50 e i 60 milioni l’anno, a seconda delle presenze di detenuti, ma sempre stando alla relazione in caso di adeguamento servirebbero 50 milioni in più. Così con il passare degli anni la distanza tra i compensi di chi è “fuori” e chi è “dentro” si è allargata sempre di più. A questo va aggiunto che da agosto dello scorso anno la mercede ha subito una contrazione reale a causa dell’aumento, in alcuni casi del cento per cento, della quota di mantenimento, la cifra che ogni detenuto paga per i servizi che riceve in carcere.
La denuncia di Carte Bollate – Le tabelle con la retribuzione netta intascata dai detenuti sono state rese pubbliche da Carte Bollate, il magazine edito dai carcerati del penitenziario in provincia di Milano. “Da noi dipendono tutti i servizi: il funzionamento dei laboratori, le cucine, la distribuzione delle vivande, gli sportelli giuridici e sociali, le cooperative, le biblioteche, la distribuzione della spesa – si legge nel bimestrale – Tutto nelle case di detenzione funziona grazie al lavoro dei detenuti”. Le paghe nette? Da fame: uno scopino riceve 2,23 euro all’ora, uno spesino si ferma a 2,12 e un jolly arriva a 2,33. I più fortunati sono gli scrivani: due euro e settantaquattro centesimi. Notare che questi sono i nomi con cui il gergo ministeriale indica gli addetti alla distribuzione del vitto, all’ufficio e alla tabella spesa, ai quali è concessa una “mercede” in cambio del loro lavoro utile a portare avanti le strutture.
“Budget insufficiente incide su qualità della vita” – La gravità della situazione viene evidenziata dalla relazione presentata al Senato dal ministro Orlando lo scorso 19 gennaio. Il documento è firmato da Santi Consolo, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. La fotografia è deprimente e inequivocabile: “Non vi è dubbio che nel corso degli ultimi anni le inadeguate risorse finanziarie non hanno consentito l’affermazione di una cultura del lavoro all’interno degli istituti penitenziari”, scrive Consolo. Il budget per la remunerazione dei detenuti nelle attività quotidiane “sebbene incrementato” di recente è “ancora insufficiente” e “incide negativamente sulla qualità della vita”. La retribuzione dei detenuti non viene aggiornata dal 1993 “per carenze di risorse economiche”. Ma la beffa è che quello che lo Stato non paga deve poi versarlo a seguito delle sempre più frequenti cause presentate dagli ex detenuti. Il “mancato aumento delle mercede”, prosegue il documento, ha infatti innescato un “proliferare di ricorsi ai giudici del lavoro” davanti ai quali “l’amministrazione è, naturalmente, soccombente” con “ulteriori aggravi per la finanza pubblica”. Oltre a pagare le differenze retributive modulate sugli anni, lo Stato versa infatti “anche gli interessi e le relative spese di giudizio”.
Osservatorio Antigone: “Mai perso una causa” – Accade sempre più spesso, conferma a ilfattoquotidiano.it l’avvocatessa Simona Filippi, difensore civico dell’Osservatorio Antigone: “Assieme ad alcuni colleghi abbiamo aperto un fronte giuridico e politico da circa quattro anni. In circa quaranta cause intentate non ho mai ricevuto un rigetto”. Le sentenze dei giudici sono univoche e danno ragione agli ex detenuti corrispondendo risarcimenti che variano dai 2mila ai 20mila euro, a seconda del monte ore lavorato. “Visto che le retribuzioni sono ferme dal 1993 – si chiede Filippi – e che la legge prevede la facoltà, in realtà sempre applicata, di abbattere di un terzo i minimi dal contratto nazionale, perché quando è aumentato il mantenimento non è stata tolta la riduzione?”.
Le soluzioni: sganciare le paghe dai ccnl o crearne uno ad hoc. “Incostituzionale” – “La questione della retribuzione e delle spese che conseguono al contenzioso, che se risparmiate potrebbero rivalutare gli attuali parametri retributivi, dovrebbero trovare soluzione nelle modifiche all’Ordinamento penitenziario che presto saranno presentate a conclusione del lavoro di aggiornamento condotto dagli Stati generali istituti dal ministro Orlando”, spiega al fattoquotidiano.it Massimo De Pascalis, vice capo del Dap. Le soluzioni ipotizzate sembrano però una beffa per i detenuti: la prima consiste semplicemente nel prendere atto della situazione e sganciare le retribuzioni da quelle previste dai contratti collettivi in vigore. La seconda prevede l’istituzione di un contratto ad hoc per i carcerati, ovviamente con compensi molto più bassi di quelli che prendono gli altri lavoratori. Ma la Filippi avverte che entrambe le strade “difficilmente potranno essere giudicate costituzionali: il lavoro dei detenuti è uguale a quello di chi è fuori, la Suprema Corte lo ha già detto più volte”.
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Roma, 14 mar. (Adnkronos) - "Per il loro concreto e costante sostegno nel percorso di avvicinamento delle comunità di Gorizia e Nova Gorica soprattutto nel contesto di Go 2025", il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quello emerito della Slovenia, Borut Pahor, verranno insigniti domani, con una cerimonia in programma alle 11.30 al Teatro comunale Giuseppe Verdi, del Premio 'Santi Ilario e Taziano-Città di Gorizia'. Un nuovo riconoscimento per i due statisti ai quali nell'aprile scorso fu attribuita la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'Università di Trieste, a conferma di un impegno comune per rimarginare le ferite della storia e mantenere vivi un'amicizia e un legame tra due i popoli, saldando un rapporto anche sul piano personale.
Numerose le occasioni di incontro e i gesti simbolici. A partire dal 26 ottobre 2016, quando i due presidenti parteciparono alla cerimonia sul tema "L'Europa luogo di superamento dei conflitti", nel centenario dell'unione di Gorizia all'Italia. Fu quella l'occasione per la deposizione di due corone d'alloro sul monumento dedicato ai soldati sloveni caduti sul fronte dell'Isonzo 1915-1917 a Doberdò del Lago, mentre in precedenza il Capo dello Stato italiano, al Parco della Rimembranza di Gorizia, aveva reso omaggio al monumento ai caduti della Prima guerra mondiale e al lapidario che ricorda i deportati goriziani.
Ma fu soprattutto il bilaterale a Trieste il 13 luglio 2020 particolarmente denso di significati. Mattarella e Pahor resero omaggio, mano nella mano, alla Foiba di Basovizza e al Monumento ai caduti sloveni antifascisti Ferdo Bidovec, Fran Marusic, Zvonimir Milos e Alojzij Valencic, condannati a morte nel 1930. Quindi i due presidenti conferirono a Boris Pahor, scrittore sloveno naturalizzato italiano, rispettivamente l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e l’Ordine per Meriti eccezionali. Fu quindi firmato il protocollo di restituzione del Narodni Dom, l'edificio che ospitava le associazioni culturali slovene distrutto dalla violenza nazionalista dello squadrismo fascista nel 1920.
"La storia –disse Mattarella in quella occasione- non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro".
"Al di qua e al di là della frontiera -il cui significato di separazione è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione europea -sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace. Oggi, qui a Trieste -con la presenza dell’amico presidente Borut Pahor- segniamo una tappa importante nel dialogo tra le culture che contrassegnano queste aree di confine e che rendono queste aree di confine preziose per la vita dell’Europa". Concetti ribaditi nell’incontro del 21 ottobre 2021, per celebrare la designazione congiunta di Gorizia e Nova Gorica 'Capitale europea della Cultura 2025 con il progetto 'Go! Borderless'. “Un meraviglioso esempio della costruzione di un futuro comune nell’Unione europea".
L'avvicendamento alla guida della Slovenia, con l'elezione della presidente Nataša Pirc Musar, ha visto proseguire le iniziative di collaborazione e dialogo tra i vertici istituzionali dei due Paesi. Mattarella nell'aprile dello scorso anno partecipò alle celebrazioni per il ventennale dell'adesione della Slovenia all'Ue e con l'omologa Pirc Musar ha inaugurato a febbraio di quest'anno Go 2025, Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia autoimmune che può colpire vari organi e apparati del nostro organismo. Da qui la difficoltà nella diagnosi e nel trattamento. "Negli ultimi 10 anni, per la malattia, è cambiato il paradigma terapeutico" ed è possibile "raggiungere la remissione, spegnere una delle sue complicanze, quale la nefrite lupica, e ridurre al minimo", fino "anche a sospendere, il cortisone". Protagonisti di questa rivoluzione sono, "in particolare, i Jak inibitori, famiglia di nuovi farmaci già disponibili in Italia da dicembre 2017 per l'artrite reumatoide". Così Fabrizio Conti, professore di Reumatologia Università Sapienza e direttore della Uoc di Reumatologia del Policlinico Umberto I di Roma, riassume all'Adnkronos Salute l'evoluzione nella gestione di questa patologia cronica che è caratterizzata da manifestazioni eritematose cutanee e mucose con sensibilità alla luce del sole, ma che può coinvolgere altri organi come rene, articolazioni e sistema nervoso centrale.
"Il Les si presenta in modo variabile da persona a persona", sottolinea Rosa Pelissero, presidente Gruppo Les Odv, ma colpisce "soprattutto donne giovani in età fertile". Il rapporto di incidenza tra femmine e maschi è di 9 a 1. "Dopo la diagnosi ci si trova da un giorno all'altro malati di una malattia cronica. Si deve imparare a convivere con una nuova normalità. La ricerca è importante: 40-50 anni fa l'obiettivo era la sopravvivenza. C'era solo il cortisone ad alti dosaggi", come cura. "L'avvento di nuovi farmaci - chiarisce - apre alla possibilità di sospenderlo e quindi anche di ridurre gli effetti collaterali e i danni" del farmaco. "La gravidanza", allora, era "assolutamente" inimmaginabile. "Oggi invece, grazie ai progressi fatti, le donne affette da lupus sanno di poter affrontare un gravidanza. La nostra aspettativa è sempre di avere nuovi farmaci, il più efficaci possibili, con meno effetti collaterali e che possano essere somministrati su larga scala".
Il decorso della patologia, spesso, "è di tipo relapsing-remitting in cui, a fasi di attività di malattia, si alternano fasi di quiescenza - spiega Gian Domenico Sebastiani, direttore Uoc di Reumatologia dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma - I Jak inibitori, piccole molecole sintetizzate chimicamente, assunte per via orale, inibiscono l'attività di diverse citochine, che sono molecole pro infiammatorie. I Jak inibitori differiscono dai farmaci usati fino ad oggi perché - precisa - vanno a colpire meccanismi mirati della patologia", ma anche perché, essendo orali, hanno più "facilità di somministrazione", cosa importante per "l'aderenza" al trattamento. Inoltre, "per la rapidità di azione", se devono essere sospesi "smettono velocemente di agire".
Questa "nuova classe di immunomodulatori per via orale bloccano uno specifico enzima", janus chinasi, "che attiva diversi recettori cellulari - rimarca Gianluca Moroncini, professore di Medicina interna, direttore Dipartimento Scienze cliniche e molecolari, Università Politecnica delle Marche e direttore Clinica medica, Aou delle Marche - Pur riconoscendo un bersaglio molecolare specifico, in realtà, sono antinfiammatori modulatori ad ampio spettro. Il mio centro è impegnato in un trial clinico multicentrico per verificare se abbiano, nel Lupus eritematoso sistemico, un'efficacia pari a quella che hanno già dimostrato in altre malattie per le quali sono autorizzate, come l'artrite reumatoide o l'artrite psoriasica. Attendiamo con ansia l'esito delle sperimentazioni".
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Ho apprezzato molto la posizione di Elly Schlein quando ha detto no al piano di riarmo. Una buona premessa per impostare un progetto di alternativa a questo governo". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Se ci dobbiamo ritrovare con una alternativa che segue la Meloni e sottoscrive la politica estera disastrosa della Meloni è un disastro, che alternativa puoi presentare agli italiani se ti trovi a votare con la Meloni per l'escalation militare? Per non parlare di Gaza", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Il problema è che il Pd ha dimostrato di essere un partito troppo plurale, lo dico con una battuta. Ci sono dei momenti di sintesi e quando il tuo leader prende una posizione così chiara, qualche chiarimento adesso andrebbe operato. Ma il problema non riguarda me ma un'altra forza politica". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
Roma, 14 mag (Adnkronos) - "Oggi scopriamo che ci sono i proprietari delle reti che vogliono dettare le condizioni, vogliono utilizzare gli algoritmi per condizionare il dibattito, usare gli algoritmi per condizionare le elezioni. Ci dobbiamo svegliare". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Il problema vero è che sono monopolisti, come Starlink per i satelliti a bassa quota. Che garanzia di sicurezza abbiamo che domani, come per l'Ucraina, Musk non si svegli e dica chiudo l'interruttore? L'Europa è l'unico contesto sovranazionale che cerca di dettare regole su questo fronte. E' un problema serio da affrontare", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Con un'esperienza "ultraventennale in reumatologia" con l'obiettivo di "migliorare gli standard di cura e migliorare i risultati clinici per i pazienti che soffrono di queste malattie", oggi "AbbVie è impegnata a sviluppare un possibile strumento ulteriore per rispondere alle esigenze dei pazienti che soffrono di lupus eritematoso sistemico. Il Les è una malattia autoimmune estremamente complessa, caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi che possono colpire in maniera variegata ed eterogenea diversi organi e sistemi: il sistema polmonare, il muscolo-scheletrico, la cute e il sistema nervoso centrale. Chiaramente i sintomi variano a seconda del tipo di organo distretto coinvolto, ma ha un decorso cronico estremamente elevato e un'evoluzione estremamente imprevedibile". Lo ha detto Caterina Golotta, direttore medico AbbVie Italia, all'Adnkronos Salute, sottolineando che, "per rispondere ai bisogni insoddisfatti", la farmaceutica sta lavorando su un "inibitore di Jak, upadacitinib. Frutto dello sforzo in ricerca e sviluppo interno, è al momento in corso di sperimentazione clinica in questo contesto".
Si tratta di "un inibitore selettivo e reversibile della janus chinasi - spiega Golotta - ed è attualmente approvato e rimborsato in una serie di patologie immunologiche: l'artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, l'artrite psoriasica, la colite ulcerosa e la dermatite atopica. Rimaniamo fiduciosi in attesa dei risultati della molecola nel programma di sviluppo del lupus eritematoso sistemico. Tra l'altro, l'upadacitinib è attualmente in studio anche in altre 2 patologie dell'ambito immunologico: la vitiligine e l'alopecia areata".
AbbVie, evidenzia il direttore medico, "è un'azienda fortemente votata alla ricerca e sviluppo. In Italia siamo presenti con 78 studi clinici che coinvolgono circa 400 centri sperimentali. A livello globale, l'impegno in ricerca nel 2024 è stato pari a circa 13 miliardi di dollari, che rappresenta un incremento del 66,66% rispetto all'impegno del 2023".
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Con un'esperienza "ultraventennale in reumatologia" con l'obiettivo di "migliorare gli standard di cura e migliorare i risultati clinici per i pazienti che soffrono di queste malattie", oggi "AbbVie è impegnata a sviluppare un possibile strumento ulteriore per rispondere alle esigenze dei pazienti che soffrono di lupus eritematoso sistemico. Il Les è una malattia autoimmune estremamente complessa, caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi che possono colpire in maniera variegata ed eterogenea diversi organi e sistemi: il sistema polmonare, il muscolo-scheletrico, la cute e il sistema nervoso centrale. Chiaramente i sintomi variano a seconda del tipo di organo distretto coinvolto, ma ha un decorso cronico estremamente elevato e un'evoluzione estremamente imprevedibile". Lo ha detto Caterina Golotta, direttore medico AbbVie Italia, all'Adnkronos Salute, sottolineando che, "per rispondere ai bisogni insoddisfatti", la farmaceutica sta lavorando su un "inibitore di Jak, upadacitinib. Frutto dello sforzo in ricerca e sviluppo interno, è al momento in corso di sperimentazione clinica in questo contesto".
Si tratta di "un inibitore selettivo e reversibile della janus chinasi - spiega Golotta - ed è attualmente approvato e rimborsato in una serie di patologie immunologiche: l'artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, l'artrite psoriasica, la colite ulcerosa e la dermatite atopica. Rimaniamo fiduciosi in attesa dei risultati della molecola nel programma di sviluppo del lupus eritematoso sistemico. Tra l'altro, l'upadacitinib è attualmente in studio anche in altre 2 patologie dell'ambito immunologico: la vitiligine e l'alopecia areata".
AbbVie, evidenzia il direttore medico, "è un'azienda fortemente votata alla ricerca e sviluppo. In Italia siamo presenti con 78 studi clinici che coinvolgono circa 400 centri sperimentali. A livello globale, l'impegno in ricerca nel 2024 è stato pari a circa 13 miliardi di dollari, che rappresenta un incremento del 66,66% rispetto all'impegno del 2023".