Dalle carte dell’omicidio di Lidia Macchi spunta una lettera anonima con riferimenti paranormali. La missiva già nota agli inquirenti, firmata ‘Una mamma che soffre‘ e inviata 29 anni fa ai genitori della studentessa di Varese uccisa nel gennaio 1987 (leggi), è stata diffusa alla stampa dal legale della famiglia, l’avvocato Daniele Pizzi.
“L’obiettivo è che, divulgandola, qualcuno ne possa riconoscere la grafia – ha spiegato il legale – e, quindi, farsi avanti con gli inquirenti”. La lettera (mandata in onda anche nel corso della puntata di mercoledì sera di Porta a Porta su RaiUno) fu imbucata il 21 gennaio 1987 a Vercelli e nei giorni successivi fu recapitata ai genitori di Lidia Macchi, a Varese, che all’epoca ricevettero altre missive anonime. L’autore della lettera scrive di aver “registrato su un nastro magnetico” alcune frasi “di origine paranormale” pronunciate dalla ragazza dopo la morte. “So chi è stato ad uccidermi, è stato un mio amico di Comunione e Liberazione“, si legge in uno dei passaggi dello scritto che nella lettera viene attribuito alla vittima. “C’era anche lui quando mi hanno trovato – prosegue – è stato proprio lui a trovarmi ed è stato costretto a fingere un grande sgomento e dolore”.
Nei mesi scorsi la lettera è stata analizzata assieme ad altri reperti dai consulenti del sostituto pg di Milano Carmen Manfredda, che coordina le indagini (leggi). Sono state rilevate su un lembo della busta tracce di Dna femminile, che non corrisponderebbe a quelli finora presi in esame nell’ambito dell’inchiesta. Lo scorso 15 gennaio, dopo 29 anni, il lavoro degli investigatori è arrivato a una svolta con l’arresto dell’ex compagno di liceo della vittima, Stefano Binda, accusato di aver violentato e ucciso con 29 coltellate la giovane, il cui cadavere fu trovato in un bosco a Cittiglio (Varese). Binda insieme a Lidia Macchi frequentava lo stesso ambiente di Comunione e Liberazione e forse la ragazza voleva aiutarlo ad uscire dall’eroina. Ad incastrare Binda – secondo gli inquirenti – è stata la calligrafia identica a quella riscontrata sull’altra lettera anonima “In morte di un’amica“. A riconoscerla è stata una sua ex amica dopo aver visto la missiva durante un programma televisivo. Secondo gli investigatori quella lettera venne scritta dal killer e spedita alla famiglia il giorno dei funerali. Nella perquisizione in casa, i poliziotti trovarono anche un’agenda dell’87. Mancavano le pagine dei giorni della scomparsa e del ritrovamento di Lidia, ma c’era un foglio su cui Binda aveva scritto: “Stefano è un barbaro assassino”.
Secondo l’avvocato Pizzi, i contenuti della missiva diffusa “riportano ad aspetti che dieci giorni dopo il ritrovamento di Lidia non erano ancora di pubblico dominio, come il fatto che Lidia, prima di essere uccisa, abbia avuto un rapporto sessuale con il suo assassino. Di qui l’ipotesi che chi ha vergato questa missiva era, in qualche misura, a conoscenza di particolari relativi all’omicidio”.