Se pensiamo ad un tentativo di approfondimento del ‘manifesto olonico’ del post precedente, teso a realizzare le basi del Prim (Piano di riconversione industria manifatturiera) sarà indispensabile iniziare dal punto 1: identificare e far conoscere agli imprenditori la sostanziale differenza fra una azienda ‘normal-fornitrice’ e un’azienda ‘olonica in rete d’impresa’. Qualcuno sorriderà: ma commetterà un grosso errore.
Anche nell’economia industriale la cultura si forma man mano, come in ogni anfratto della vita umana. Cultura non è solo quella che si apprende nel corso scolastico, anche il più raffinato: sarebbe bene chiamare – quella cultura – col termine di erudizione: alla quale l’insegnamento del nostro progetto scolastico cerca – e con molto onore – di associare la base dell’insegnamento illuministico che risiede nell’applicazione sempre e dovunque del principio di ‘causa ed effetto’. In altri termini oltre all’erudizione cerca di insegnare a ragionare correttamente.
Ma la vera cultura, quella che l’uomo forma e crea man mano che vive, è un’altra cosa: nasce dalla necessità di conoscere/capire i problemi man mano che si pongono e dalla necessità di provvedere alla loro soluzione. Questa cultura si forma giorno per giorno e in ogni luogo: il suo produttore principale è l’uomo, l’essere umano pensante.
Se focalizziamo il mondo dell’industria manifatturiera dopo un lungo periodo nel quale la cultura fu impegnata soprattutto nella soluzione di problemi tecnici e produttivi, improvvisamente il quadro tende a cambiare: permangono problematiche produttive (cui fanno fronte le indubbie validissime ‘pensate’ dei giapponesi: just-in-time, kanban, total quality, lean-production…) ma si aggiungono problematiche nuove che chiameremo, in assenza di una parola italiana (riconosciamo che la nostra lingua, bellissima, è anche vecchia…), di business, ancora più sconvolgenti di quelle produttivistiche. Il fatto è che è profondamente cambiata la natura di quello che un tempo chiamavamo semplicemente prodotto: e che ancora, malauguratamente per noi, continuiamo a chiamare così, ingenerando un ritardo crescente rispetto a ciò che le nuove culture di mercato richiederebbero.
Oggi, tecnicamente nel mondo dell’economia, prodotto significa: prodotto fisico + prestazioni + service. E service contrassegna una serie di attività che riguardano non più il prodotto ma le unità operative che se lo scambiano, cioè le imprese. E questa semplice definizione dischiude una nuova tecnologia commerciale: quella che si collega col prodotto/mercato. Non è un concetto facile: in particolare per gli imprenditori di una certa età ed esperienza. Direi che la locuzione prodotto+prestazioni era già stata acquisita: con fatica, immane, ma acquisita. Aggiungere il concetto di service è cosa molto più dura, più ostica a capirsi.
E quindi più ostiche a capirsi le ricadute in quella parte delle tecniche di vendita che attengono al rapporto fra fornitore e cliente (che può essere una ‘azienda’ o un ‘consumatore’). Alcune di queste ricadute cominciano ad essere più familiari a una parte anche importante del mondo manifatturiero italiano: ma altre non sono ancora per niente, se non presso aziende italiane in cui più aggiornata è la cultura della gestione aziendale (‘gestione’, non ‘amministrazione’) anche e soprattutto per una presenza di strutture manageriali molto scolarizzate.
E’ per questo che – per tornare sui nostri argomenti di cui discutiamo già da qualche mese – che una parte sensibile del nostro mondo imprenditoriale manifatturiero non conosce per nulla questa teoria olonica: e, al momento, le pubblicazioni in materia sono troppo scientifiche per facilitarne una divulgazione. Troppo scientifiche, troppo difficili, troppo lunghe nelle spiegazioni. Eppure oggi sono fondamentali.
Il guaio è che i nostri imprenditori (qualcuno sì, ma tantissimi no) non riescono a vedere quanto grandi tornaconti potrebbero loro derivare dall’entrare in questa nuova (relativamente) filosofia gestionale. E non saranno certo né i ragionieri né i laureati in economia che potranno loro spiegare questi vantaggi: per cui essenziale è che questo progetto Prim si preoccupi di far conoscere con semplicità che cosa si intende per olonismo e che cosa possono essere i vantaggi che ne derivano.
Nel corso di questo blog mi sono arrivate richieste di indicazione di testi che parlano di questo modo di fare business: il che mi crea qualche imbarazzo.
Perché in questo momento la letteratura disponibile è ancora a livello ‘top’: io stesso faccio davvero fatica a leggere queste pubblicazioni e sinceramente preferisco rinunciare a molta scientificità delle argomentazioni per perseguire una strada più semplice e più chiara. Se arriveremo alla costituzione di un gruppo operativo – cosa che mi auguro molto – potremo organizzare dei meeting con persone che hanno di fatto realizzato attività in imprese virtuali oloniche: il che renderà in modo molto più chiaro e diretto ciò che ponderose pubblicazioni (ma difficili a leggersi) possono trasmettere.
Di certo il punto centrale di questo primo pezzo del programma Prim è quello di far capire in modo diretto la convenienza agli imprenditori di aprirsi a queste novità gestionali: o ne resteranno man mano stritolati. Inutile fingere di ignorare questa realtà, guai ad alzare le spalle bollando di fumosità certe proposte: l’arcipelago vincerà sempre sulla singola isoletta. E il nostro paese non può permettersi questi esiti: ad onta di un ceto politico sordo talvolta fino all’idiozia…