Il problema è molto serio e riguarda quasi tutte le Fondazioni liriche italiane. Fare cultura, produrre musica, allestire opere liriche in Italia – che di tutte queste cose è la capitale mondiale – è divenuto quasi impossibile. E non perché (esclusivamente) lo Stato ha pensato di non spendere più un euro e ha tagliato l’impossibile incominciando dalla cultura. Il motivo è più profondo ed è riconducibile agli stessi problemi di fondo dell’Italia degli ultimi trent’anni. Problemi che evidentemente non vogliamo risolvere, e nemmeno correggere parzialmente e si chiamano: regole, tutela dell’interesse pubblico, malaffare.
L’uso del denaro pubblico amministrato dalla classe politica è sotto gli occhi di tutti. Peraltro la mala gestio delle istituzioni culturali è – se possibile – ancora peggiore. In realtà le difficoltà economiche e di bilancio di tutte le istituzioni culturali italiane sono solo la scusa di per occultare gestioni contrarie alle finalità istituzionali, nonché agli interessi pubblici, spesso orientate allo spreco e al finanziamento di interessi personali o di gruppo. Così muore la cultura in Italia, non perché costa troppo, non perché è gestita malissimo, in genere da persone di poca o scarsa competenza, ma perché anche la musica, l’arte e l’opera lirica fanno parte del grande fiume del malaffare e della corruzione in Italia. Costi gonfiati, clientele, stipendi faraonici per gli amici, società di comodo che ricevono concessioni, conflitti di interesse, consulenze inguardabili, complicità a livello locale e dell’informazione: questa è la realtà che sta nei bilanci delle Fondazioni liriche e che tutti – neanche fosse la Parmalat – continuano a coprire.
Il caso della Fondazione Arena di Verona in questo senso è un paradigma. Un crollo di qualità dell’offerta musicale, un calo conseguente di pubblico, di entrate e dall’altra parte un aumento dei debiti, con la complicità di banche interessate, e per chiudere, scelte cervellotiche e poco trasparenti del management. Ma nessuno ha fatto e fa nulla per fermare il buco che la attanaglia, che ormai ha costruito una voragine di quasi 40 milioni di euro effettivi che mancano e che in questi giorni ha portato addirittura al mancato pagamento degli stipendi, ma da tempo i fornitori aspettano invano e l’anno scorso era stata perfino tagliata la corrente. Per nascondere la situazione si è fatto di tutto, dai maquillage di bilancio – basti pensare che lo stesso Anfiteatro romano è stato iscritto a patrimonio della Fondazione, come se un domani – in caso di necessità – il sovrintendente potesse decidere di alienarlo… – fino alla pirotecnica, ripetuta politica di comunicazione, contrassegnata da progetti irrealizzabili come la copertura dell’Arena.
E nessuno ha mosso un dito, a partire da quelli che ne hanno la responsabilità. Non il ministro Franceschini, che ha assecondato giochi locali del suo partito finendo per riconfermare un gruppo di dirigenti imposto dal sindaco Tosi, che già ampiamente avevano dato prova di essere inadatti alla gestione del secondo teatro lirico italiano. Non la classe dirigente veronese che in tutti i partiti, a parte qualche tentativo del M5S, ha lasciato prosperare una situazione disastrosa ben nota in città, perché c’era ancora ancora qualcosa da spolpare. E anche quelli che hanno subito questo processo di doloroso declino (maestranze, sindacati, musicisti) non hanno fatto molto per dire: basta! Purtroppo non ci sono innocenti attorno ai resti delle Fondazioni liriche italiane, che ciclicamente (qualcuna di ben amministrata compare, come ora alla Fenice o a Torino) ricorrono ai soldi pubblici per continuare a «menare una vita da bricconi» (don Giovanni).
Così se si guarda da vicino quello che accade nelle fondazioni liriche vien voglia di chiuderle tutte. Ma questo è proprio il gioco che vorrebbero classi dirigenti incompetenti, che prima hanno fatto carne da porco delle istituzioni culturali italiane e poi gridano come le vergini sui giornali che «con la cultura non si fa profitto», e ne invocano la purificatrice privatizzazione. Certo se – come nel caso della Fondazione Arena – la responsabilità del più grande anfiteatro all’aperto del mondo, di un teatro capace di ospitare 12.000 persone a sera, viene ripetutamente conferita, con la benedizione del ministro competente, a un perito agrario, tramite un sindaco che di lirica non capisce nulla e che a sua volta in consiglio di amministrazione si fa rappresentare da un materassaio, è difficile pensare che da qui ne possa nascere qualcosa di simile ai Berliner Philarmoniker o al Festival di Salisburgo. Nel paese della corruzione, l’incompetenza rischia di essere la camera di ingresso al malaffare.
Per questo alcuni cittadini si sono mossi e hanno deciso di far sentire la loro voce, senza molte speranze di essere ascoltati. Perché – non solo a Verona – bisogna sottrarre a a questa politica a queste classi dirigenti la gestione delle istituzioni musicali e culturali italiani. Le persone di buona volontà e di competenza devono poter essere rappresentate. Il Presidente della Repubblica non può far finta di non sapere come vengono gestite le Fondazioni Liriche e visto che il capo del governo se ne disinteressa – dovrebbe intervenire con il governo per fare qualcosa di concreto a favore della cultura. Non serve dire che senza cultura, senza musica siamo tutti più poveri se poi non siamo disposti a sacrificare qualcosa del nostro interesse immediato per la cultura e per la musica. Solo con l’impegno forte di tutti gli italiani possiamo salvare le fondazioni liriche, da Napoli a Palermo, da Firenze a Cagliari a Verona, fino a Genova e a Torino a Roma. Solo se ci saranno più cittadini coinvolti e partecipi nei destini di queste antiche istituzioni potremo liberarci dal malaffare che oggi le sta condannando a morire.