Non è un fenomeno nuovo e neppure troppo di nicchia, quindi non staremo qui a tentare di vendervi la moda del momento. Lo “stocazzismo”, però, è ormai una sorta di stato mentale, di predisposizione alla vita e alle sue quotidiane miserie, che merita di essere celebrato e raccontato come si deve. Chissà quanti, tra chi legge, hanno stocazzato qualcuno nel corso della loro vita. Magari anche “before it was cool”, cioè prima che sui social diventasse una sorta di passatempo nazionale. In principio era un semplice (e verbale): “Sai chi ti saluta? STOCAZZO!”. E giù a ridere, come dodicenni idioti, perché stocazzo fa ridere tutti, e chi nega è solo un ipocrita sacerdote della “qualità”. Ma René Ferretti, mitologico regista de “Gli Occhi del Cuore”, si è già espresso prima di noi e con incredibile efficacia: “La qualità a noi c’ha rotto il cazzo!”. Punto e a capo.
Stocazzare, dunque, era un divertissement sciocchino tra amici annoiati, tutti attenti a non cascarci e che poi, puntualmente, ci cascavano come pere mature. Poi i social hanno fatto il resto, con la sublime arte di stocazzare i vip (o presunti tali), gli influencer (che a quanto pare non sono persone gravemente malate), le webstar varie, avariate ed eventuali. Se volessimo fare i fighi veri, torneremmo indietro addirittura al 1977 e a I Nuovi Mostri di Risi, Monicelli e Scola, con l’elogio funebre di Alberto Sordi: “E ti ricorderò anche nello sketch della telefonata d’amore, quando io al telefono ti dicevo: “Pronto? Pronto, chi parla? Chi è?” e tu rispondevi “STOCAZZO!”. Citazione che è arrivata fino ai giorni nostri, fino a Lo chiamavano Jeeg Robot, caso cinematografico dell’anno: bussano alla porta. “Chi è?”. “Stocazzo”. Un fil rouge meraviglioso che decreta l’attualità perenne dell’espressione ormai mitologica.
Lo stocazzo, da non confondersi con “sto cazzo” (es.: sentirsi ‘sto cazzo, atteggiarsi a ‘sto cazzo), racconta chi siamo e soprattutto cosa vogliamo dalla vita. Perché mentre tutti chiedono la luna, l’amore eterno, il posto fisso, i soldi, il sesso, la salute o altre cose che ormai sappiamo essere inesistenti, gli stocazzisti si accontentano di molto meno. Di stocazzo, appunto, e non in un greve senso fisico (sebbene la sessualità fluida imperante possa far credere il contrario) ma in un senso più leggero, impalpabile, quasi metafisico e spirituale. È il vuoto riempito con levità e rassegnazione gioiosa prettamente romane, è la voglia di non prendersi troppo sul serio, è la consapevolezza che, mentre tutto affonda, bisogna avere il coraggio di continuare a prendere e prendersi in giro. È leggerezza, dunque, ma è leggerezza pregna di contenuto. Perché “stocazzo” non è un’espressione buttata lì per caso, badate bene. E non bisognerebbe neppure abusarne, proprio per non fargli perdere quel senso profondo che lo contraddistingue. Stocazzare non uccide, non danneggia la vostra salute né quella di chi vi sta attorno, non dovete chiedere al farmacista un consiglio per smettere, non dovete evitare di stocazzare in auto, nei luoghi pubblici, a lavoro, persino in ospedale o nelle scuole. Ma dovete stocazzare con parsimonia, quello sì, perché sarebbe come nominare il nome di Dio invano, bestemmiare quasi.
E non vi limitate a stocazzare solo i vip, come trend social impone, perché vi perdete gran parte del divertimento. Io, per esempio, stocazzo da una vita mio padre (che ci casca clamorosamente) e persino mia madre (che detesta le parolacce e ogni volta mi bacchetta con sguardo indignato da quacchera). Fatelo anche voi. Anzi, stasera, tornando a casa, date uno stocazzo ai vostri familiari e ditegli che, semmai qualcosa potrà mai salvarci da noi stessi e dalla nostra pesantezza, quello è proprio stocazzo. Amen.