Metti una sera insieme Nello Trocchia, Luca Ferrari, Monika Dobrowolska Mancini e Giovanni Tizian, aggiungi un pubblico appassionato che, pur di esserci, ha sfidato pioggia, vento e un Tevere sempre più gonfio, il dibattito si svolgeva su uno dei barconi galleggianti, e ne verrà fuori un incontro segnato dalla comune passione per la legalità e per chi ha scelto di dedicare la vita al contrasto delle mafie e del malaffare. L’occasione, ovviamente, era la presentazione del libro Io, morto per dovere edito da Chiarelettere e scritto da Trocchia, Ferrari e dalla moglie di Roberto Mancini, Monika.
Ne è uscito il ritratto di un uomo che aveva dedicato se stesso alle istituzioni democratiche e al contrasto della corruzione, intuendo, tra i primissimi, la pista dell’ecomafia, i suoi intrecci con la politica, i rischi per la salute pubblica.
Le sue denunce, per molti anni, furono ignorate, archiviate, perché quel “poliziotto comunista” non era fatto per piacere allo “spirito dei tempi”. Era considerato uno strano, perché un “rosso” non avrebbe dovuto portare la divisa, uno così era destinato a suscitare scandalo tra vecchi compagni e colleghi di lavoro. Roberto era l’anomalia, gli altri la regola.
Eppure, anche per un poliziotto, la regola dovrebbe essere l’amore per la legalità repubblicana, il rispetto della Costituzione antifascista, il contrasto di ogni forma di corruzione. Il Mancini che tutela la salute pubblica, il rispetto del patrimonio comune e svela le origini di Mafia Capitale incarna i valori costituzionali e onora con il suo impegno la Repubblica. Gente così meriterebbe le massime onorificenze concesse dallo Stato e invece viene considerata “singolare, paradossale, eccentrica…”.
Sino a quando i Roberto Mancini non diventeranno la “norma” e quelli della Diaz la “devianza” le istituzioni democratiche e la comunità nazionale non potranno dormire sonni tranquilli. Se e quando ci dovesse capitare di incontrare un altro Roberto Mancini sarà il caso di riconoscerlo e di onorarlo anche in vita.