“Quel Dna non mi appartiene”. “E’ un Dna strampalato, e che per metà non corrisponde”. E ancora: “E’ dal giorno del mio arresto che mi chiedo come sono finito in questa vicenda visto che non ho fatto niente e voi lo sapete”. “Se uno è innocente, su cosa deve decere?”. Per la prima volta, Massimo Bossetti, imputato per l’omicidio di Yara Gambirasio ha messo in dubbio, nel corso del suo interrogatorio, che il Dna trovato sul corpo della ragazza uccisa sia suo. Il carpentiere di Mapello risponde per la seconda volta alle domande dei magistrati nell’aula del Tribunale di Bergamo. La settimana scorsa aveva dichiarato di non aver mai visto né conosciuto la ragazzina. Il pm Letizia Ruggeri ha ribattuto a Bossetti che un giudice ha ritenuto che dovesse rimanere in carcere e un altro che gli elementi a suo carico sono stati giudicati tali da sostenere un giudizio: “Evidentemente la vicenda non è strampalata come dice lei”, ha detto il pubblico ministero.
Poi Bossetti ripercorre gli istanti subito dopo il fermo. Quando pensò che Yara Gambirasio “era stata uccisa per mettermi nei guai“. Il carpentiere lo ha detto quando il pm Letizia Ruggeri gli ha chiesto per quale ragione volle essere interrogato e disse di sospettare del collega Massimo Maggioni, ai danni del quale è imputato per calunnia. “Era una detenzione devastante, cruda – ha aggiunto – e io pensai alle persone che avevo vicino in cantiere”. Bossetti pensò che Maggioni nutrisse del rancore nei suoi confronti e lo chiamò in causa per cercare di spiegare come il suo Dna potesse essere stato trovato sul corpo di Yara. “Mi scuso con Maggioni Massimo – ha concluso Bossetti – per aver detto queste cose sbagliate”. Infine racconta il giorno del suo arresto, avvenuto il 14 giugno 2014 nel cantiere di Seriate. “Non sapevo come fare, stavo svenendo, non capivo più niente. Non avevo mai visto tante forze dell’ordine, come se fossi uno spacciatore, neanche fossi stato Totò Riina“. Dopo l’arresto era “disperato, distrutto”. “Ho tentato il suicidio“. “La cosa che mi ha permesso di andare avanti è stata l’unica fotografia che avevo in cella: quella della mia famiglia”.
Il presunto killer rispondendo alle domande dei suoi avvocati ha aggiunto: “Se uno è innocente, su che cosa deve cedere?”. I suoi difensori gli hanno chiesto rispondendo se avesse subito pressioni, in carcere, perché confessasse. “Ho ricevuto pressioni da tutti”, ha spiegato senza fare nomi. Bossetti ha inoltre detto che sua moglie, durante i colloqui, gli fece un “quarto grado“. “Se avessi mentito me lo avrebbe letto negli occhi”.
Ha voluto assistere all’interrogatorio anche la moglie Marita Comi. Seduta in prima fila, la donna non si è fermata a parlare con i giornalisti. La settimana scorsa, invece, quando il carpentiere di Mapello ha iniziato a rispondere alle domande del pm Letizia Ruggeri, Marita Comi non era presente.