"Il momento in cui ho perso il controllo di me stesso credo sia quando tra me e Marco è uscito l'argomento di mio padre" - ha detto ancora il trentenne studente fuoricorso in Giurisprudenza - "Io e Marco abbiamo iniziato a parlare a lungo di mio padre e questa cosa mi ha fatto 'venire il veleno'"
“Volevo uccidere mio padre e forse ho combinato tutto questo per vendicarmi di lui”: questo quanto detto da Manuel Foffo al pm Francesco Scavo nel corso dell’interrogatorio, il secondo, che si è svolto lo scorso venerdì nel carcere di Regina Coeli. “Non escludo – ha aggiunto Foffo – di avere combinato tutto questo per dare una risposta al rapporto con mio padre, forse come per vendetta nei suoi confronti: unito a tutto il resto forse mi ha portato a fare quello che ho fatto”.
“Il momento in cui ho perso il controllo di me stesso credo sia quando tra me e Marco è uscito l’argomento di mio padre” – ha detto ancora il trentenne studente fuoricorso in Giurisprudenza – “Io e Marco abbiamo iniziato a parlare a lungo di mio padre e questa cosa mi ha fatto ‘venire il veleno‘, avevo una forte rabbia interiore – continua Foffo – Questo è durato fino alle 2.30. Durante i nostri discorsi ricordo che era come se Marco sembrava darmi ragione, i nostri discorsi erano davvero sinceri, lui mi guardava con uno sguardo criminale”.
Foffo si trova attualmente in carcere con Marc Parto: i due trentenni sono accusati di aver ucciso il giovane Luca Varani dopo averlo torturato per almeno due ore. Secondo l’autopsia, infatti, Varani è morto dissanguato dopo essere stato martoriato con trenta tra coltellate e martellate (queste ultime inferte soprattutto alle mani, con il probabile obiettivo di impedirgli di difendersi). Non è stata dunque la ferita al petto (che gli ha provocato la perforazione del polmone sinistro e una grave insufficienza respiratoria) a uccidere il giovane Luca.
“Luca non moriva, si riprendeva ogni volta“, ha detto al pm Marc Prato nel raccontare quanto accaduto nell’appartamento di Manuel Foffo in via Iginio Giordani al Collatino. “I colpi venivano dati per uccidere – ha aggiunto Prato – Manuel era molto infastidito dal fatto che Luca non morisse”. Proprio per questo il trentenne pr aggiunge di aver provato pena per il ventenne massacrato e di aver provato a “porre fine alle sofferenze” strozzandolo con un cavo. “Ma Luca non moriva mai”, ha detto ancora durante l’interrogatorio.
E nella freddezza di questa confessione la terribile verità: “Luca non moriva mai“. L’agonia del ventenne di La Storta, la periferia nord di Roma dove abitava, potrebbe infatti essere proseguita anche mentre Foffo e Prato gli dormivano accanto. Non si può escludere che il quel lasso di tempo in cui è rimasto vivo prima della morte per dissanguamento, Luca potesse essere salvato.