Due ufficiali di polizia feriti, uno dei quali colpito alla testa con una bottiglia, e cinque persone arrestate. Per la prima volta dall’inizio della campagna elettorale presidenziale, Donald Trump è stato costretto a cancellare un raduno a Chicago, rinviandolo ad altra data, per motivi di sicurezza, dopo che molti suoi contestatori erano entrati nell’arena dove era atteso per un comizio. La decisione, resa nota dal suo staff, è stata presa dopo un incontro tra Trump e le forze dell’ordine. L’annuncio dell’annullamento del comizio è stato accolto con rumorose grida di gioia dai contestatori. “Abbiamo fermato Trump! Abbiamo fermato Trump!”, hanno gridato. “Razzisti, tornatevene a casa!”, hanno scandito verso i sostenitori del magnate, che hanno replicato: “Vogliamo Trump, vogliamo Trump”. In precedenza decine di dipendenti dell’Università dell’Illinois, dove era previsto l’evento, avevano chiesto all’amministrazione dell’ateneo di cancellarlo nel timore che potesse creare “un clima ostile e fisicamente pericoloso” per gli studenti.
La polizia nega di aver avuto un ruolo nella cancellazione del comizio e che vi fosse alcuna minaccia alla sua sicurezza. Il portavoce Anthony Guglielmi ha detto all’Associated Press che il dipartimento non ha mai detto al comitato elettorale che gravasse alcuna minaccia sull’appuntamento. Lo stesso dipartimento sarebbe stato in grado di gestire ogni situazione, e neanche l’università avrebbe mai consigliato la cancellazione dell’evento, decisa, dunque, “in maniera autonoma” dallo staff di Trump. Il frontrunner repubblicano ha detto in una intervista telefonica alla MSNBC di aver preso la decisione per “non vedere gente ferita o peggio”. Guglielmi, da parte sua, ha precisato che Trump non è mai arrivato sul luogo del comizio.
Trump ha le sue responsabilità nella cancellazione del comizio, ha affermato Ted Cruz, perché ha creato “un clima che incoraggia questo tipo di atteggiamenti negativi“. Parlando con i giornalisti ad una cena elettorale repubblicana nella periferia di Chicago, Cruz ha parlato di un “triste giorno“, aggiungendo che “il confronto politico in questo Paese dovrebbe avvenire senza la minaccia della violenza, senza rabbia e odio l’uno verso l’altro”. Ha quindi attribuito la colpa delle proteste ai manifestanti, ma ha precisato che “in ogni campagna la responsabilità parte dall’alto“. “Quando un candidato incita i suoi sostenitori ad ingaggiare uno scontro fisico, a prendere la gente a pugni in faccia, la prevedibile conseguenza di questo è una escalation. Quello di oggi – ha concluso – non sarà probabilmente l’ultimo episodio di questo tipo”.
Anche Barack Obama è tornato ad attaccare il miliardario e a sottolineare le difficoltà in cui versa il Partito Repubblicano. Intervenendo ad una raccolta fondi dei Democratici a Austin, Texas, il presidente degli Stati Uniti ha definito il dibattito interno al Gop come “una fantasia, scherni da cortile scolastico, un network di home shopping”, e ha citato Trump come “il tizio che è sicuro che sono nato in Kenya”. A suo avviso, il magnate è “la distillazione di ciò che è successo nel loro partito in oltre un decennio… Questo è il messaggio che è stato alimentato: che tu neghi l’evidenza della scienza, che il compromesso è un tradimento, che l’altra parte non ha semplicemente sbagliato ma sta distruggendo il Paese”.