Mondo

Laura Boldrini, così il Capitale si serve dei migranti

Scrive Laura Boldrini su Twitter il 12 marzo 2016: “L’Italia è un Paese a crescita zero. Per avere 66milioni di abitanti nel 2055 dovremo accogliere un congruo numero  di ‪#‎migranti‬ ogni anno”. Intanto, mi sia lecito rilevare che non è chiaro perché mai dovremmo per forza salire a 66 milioni: dove sta scritto? Ce lo chiede l’Europa? Per quale ragione bisogna  crescere di numero e raggiungere l’obiettivo dei 66 milioni?  In secondo luogo: non è chiaro perché, anziché favorire politiche sociali di aiuto alle famiglie e alle fasce più deboli della popolazione, si debba crescere numericamente attirando gente che arriva da altre realtà. Insomma, non è chiaro perché la crescita numerica debba avvenire sul fondamento dell’immigrazione. Da tale affermazione, oltretutto, pare che l’immigrazione sia una necessità nostra. E che, dunque, occorrano deportazioni di massa di migranti in funzione del raggiungimento del fatidico numero dei 66 milioni.

Il segreto, in fondo, sta tutto qui: la signora Boldrini, “maschera di carattere del capitale” (Marx), ci sta dicendo che l’economia ha bisogno di nuovi schiavi da sfruttare senza riserve: e tali sono i migranti, elogiati di facciata, e poi usati come carne da macello. L’obiettivo, cara signora Boldrini, sappiamo bene qual è: rendere anche noi come i migranti, senza diritti, puri schiavi nomadi alle dipendenze del capitale e delle leggi della delocalizzazione.

È sotto questo profilo che emerge il nesso simbiotico che lega la flessibilizzazione delle masse e il nuovo paradigma antropologico dell’homo migrans, con annesse celebrazioni entusiastiche e altamente ideologiche della flessibilità e della migrazione come stili di vita contraddistinti dall’indipendenza e dalla varietà e contrapposti alla precedente eticità stabilizzata borghese e proletaria.

La Destra del Denaro vuole i migranti come “esercito industriale di riserva” (Marx) di sfruttati a basto costo, sempre ricattabili; la Sinistra del Costume giustifica questo sfruttamento con la retorica buonista, con la “pappa del cuore” (Hegel) dell’elogio in stile boldriniano dell’immigrazione come ottava meraviglia del mondo (sempre guardandosi bene dal descrivere i traffici, il business e lo sfruttamento legati a tale pratica). La Destra del Denaro pone la struttura, la Sinistra del Costume fissa le sovrastrutture.

La condizione dell’homo migrans è quella dell’uomo sradicato e strutturalmente “svuotato” della sua identità, sempre pronto – bagaglio alla mano – a darsi per mare. Privato di una solida struttura simbolica in grado di opporre resistenza e di far valere un’istanza critica rispetto alle logiche illogiche della migrazione, l’homo migrans è chiamato ad adattarsi di volta in volta alle terre e ai contesti in cui è spinto dalla sua condizione flessibile. La sua personalità non può mai stabilizzarsi nella forma di un io solido e radicato, essendo invece sottoposta a un divenire incessante che la rende strutturalmente malleabile e ridefinibile. Egli deve figurare come un sans papier privo di ogni garanzia e disposto a spostarsi per il mondo ridotto a mercato planetario.

Con buona pace delle masse lobotomizzate e delle retoriche della sinistra alleata del capitale, a vincere, con i processi di immigrazione di massa, non sono né i migranti, né i lavoratori, formanti entrambi il polo in divenire del nuovo Servo precarizzato e nomade. A trionfare sono, invece, il Signore neo-feudale e il capitale, con la sua insaziabile ricerca di braccia e neuroni disposti a fare il medesimo a un prezzo più basso: il Servo è ora ridotto a massa senza diritti e senza radicamento, in costante mobilità, nomade e alle dipendenze del capitale e delle sue delocalizzazioni.