La famiglia Ippolito di Rocchetta Sant’Antonio, per entrare nella propria abitazione di Via Castelli rischia di dover fare un salto di due metri. È quanto disposto dalla Corte d’Appello di Bari con una sentenza (1693/14) che sta destando notevoli polemiche e che ha come oggetto del contenzioso la scalinata d’accesso all’abitazione di Giuseppe Ippolito. Proprio oggi, lunedì 14 marzo, avrebbe dovuto essere eseguita la sentenza, se non fosse stato per un intervento all’ultimo minuto del tribunale di Foggia. Il giudice Giacomo Volpe ha bloccato la procedura esecutiva rimandandola tra 60 giorni, senza però scendere nel merito della sentenza della Corte D’Appello di Bari e quindi di fatto senza porre la parola fine alla surreale vicenda.
La trafila giudiziaria nasce da una diatriba tra vicini. Da un lato la famiglia Ippolito e dall’altro la famiglia Mastropietro. Si parte dal 2003, quando il proprietario dell’immobile si difendeva dimostrando con materiale probatorio che quella scalinata era lì presente sin dalla fine degli anni 50′, in risposta ad una istanza fatta dai nuovi vicini di casa che chiedevano l’allontanamento degli scalini dal muro di confine.
Un lungo lavoro giudiziario che portò alla sentenza n. 1442/10 emessa dal Tribunale di Foggia che diede ragione alla famiglia Ippolito, rigettando ogni ipotesi di smantellamento delle scale. Si ritorna in tribunale, trascinati sempre dagli stessi vicini. Da Foggia ci si sposta a Bari dove in accoglimento della domanda proposta dagli appellanti il giudice della corte d’Appello condanna l’Ippolito a rimuovere i primi otto scalini realizzata in parte in aderenza al muro di proprietà degli appellanti, ribaltando di fatto quanto disposto dal Tribunale di Foggia.
Una sentenza kafkiana che di fatto impedisce alla famiglia Ippolito di poter vivere la propria abitazione, poiché togliendo gli 8 scalini si impedisce l’accesso. Inoltre nel dibattimento emerge un secondo ingresso posto sulla strada parallela, ma nella realtà quest’ingresso non esiste e di fatto i giudici hanno scambiato un balcone al primo piano per una porta d’accesso. La vicenda potrebbe allargarsi a macchia d’olio poiché la sentenza costituisce un precedente pericoloso sia per il paese stesso, caratterizzato da questa tipologia di abitazioni con scalinata esterna sia per i centri limitrofi accomunati da centri storici simili a quello di Rocchetta.
Alle sentenze discutibili seguono i ritardi della giustizia. Infatti, nonostante sia stato iscritto a ruolo un reclamo urgente l’8 febbraio scorso e sia stato nominato un giudice il 17 dello stesso mese, a tutt’oggi non si è avuto alcun tipo di provvedimento cautelare. Dalle carte bollate si arriva all’applicazione della sentenza e così il 7 marzo Ctu, Ufficiale Giudiziario e impresa si presentano in Via Castelli per abbattere la scalinata, ma oltre a loro la viuzza del centro antico si riempe di tanti cittadini intenzionati di fatto ad impedire l’esecuzione della sentenza. Un intero paese scende in strada a sostegno della famiglia Ippolito, improvvisando un sit-in per render difficile il lavoro all’impresa esecutrice.
Una sollevazione popolare che richiama l’attenzione anche del mondo della politica, facendo finire la vicenda di Rocchetta Sant’Antonio sul tavolo del Ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Infatti, il deputato del Pd, Umberto D’Ottavio ha informato il Guardasigilli, chiedendo un immediato impegno alla risoluzione del caso. «Stiamo vivendo una vera odissea – racconta Giuseppe Ippolito, proprietario dell’immobile coinvolto nella vicenda. Ho chiesto al giudice di persona come poter accedere alla mia abitazione una volta cancellati gli otto scalini. Come risposta ho avuto un semplice ‘sono fatti suoi’. Sembra assurdo ma mi impediranno di fatto di poter entrare o uscire da casa. Oltre a togliermi gli 8 scalini, l’impresa sarà costretta a chiudere l’accesso della restante scalinata con una recinzione di sicurezza. Mi sono rivolto anche al Capo dello Stato ed ho su più fronti chiesto una sospensiva perchè l’applicazione della sentenza di fatto lede la mia libertà di poter vivere serenamente in casa mia, ma ad oggi niente. Devo solo ringraziare la solidarietà del paese – continua Ippolito – lunedì scorso quando hanno iniziato i lavori di abbattimento con la messa in sicurezza del cantiere, ho visto tanta gente salire quelle scale e chiedere con determinazione di bloccare una sentenza assurda».
Ancor più incisivo il padre di Giuseppe Ippolito, il signor Alfredo che spiega come «questo è l’emblema delle sentenze all’italiana fatte senza entrare realmente nel merito della vicenda. Hanno prima fatto risultare una scala visibilmente degli anni 50 come un manufatto di qualche anno fa. Poi si sono inventati un’uscita secondaria che non esiste, trasformando un balcone posto a quattro metri d’altezza in una porta. Ora per completare l’opera non prendono in considerazione che applicando la sentenza, che attiene solo alla scalinata, pregiudicano l’utilizzo dell’intero immobile. Abbiamo dimostrato con fotografie d’epoca e testimonianze che quella scala è lì da sempre. In tutta risposta ci dicono “ma c’è la Cassazione” e intanto che facciamo voliamo per tornare a casa?».