“Un clan camorristico minacciò un medico per costringerlo ad alterare i test e far risultare Pantani fuori norma”. Non ha dubbi il pm Sergio Sottani della procura di Forlì. Il 5 giugno 1999, alla vigilia della penultima tappa di un Giro d’Italia che aveva fin lì dominato, Marco Pantani era pulito e sarebbe dovuto partire. Invece la camorra fermò il Pirata, con ogni probabilità per un giro di scommesse miliardarie contro di lui, iniziando a scavare il tunnel dal quale il ciclista romagnolo non sarebbe più uscito. Ma non si arriverà mai a un processo e non ci sarà mai una verità giudiziaria: i reati per i quali Sottani ha indagato – “associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva” – sono prescritti e l’inchiesta non può che essere archiviata.
C’è un’intercettazione ambientale chiave nelle carte messe insieme dagli investigatori che nell’ottobre 2014 avevano riaperto il caso dell’esclusione di Pantani dopo una prima inchiesta condotta (e archiviata) dal pm Bruno Giardina di Trento. L’ha pubblicata in esclusiva Premium Sport: un uomo vicino alla camorra parla con una sua parente e dice d’essere stato interrogato sulla morte di Pantani, spiega com’è nato il confronto con gli inquirenti e quando gli viene chiesto – riferendosi all’esclusione voluta dalla malavita – se fosse tutto vero, l’uomo risponde “sì, sì, sì… sì, sì”. La mattina del 5 giugno 1999, nell’hotel Touring di Madonna di Campiglio, Pantani venne sottoposto a un controllo del livello di ematocrito. Poco dopo sarebbe dovuto partire con il gruppo per affrontare la tappa decisiva con Gavia e Mortirolo da scalare. Ma i risultato delle analisi impose lo stop: 51.9% di ematocrito, contro il 50 per cento consentito dalle norme della Federciclismo mondiale. La sera prima e il pomeriggio successivo, quando Pantani si fermò in un laboratorio accreditato per eseguire le controanalisi, i valori erano molto diversi.
Come mai quel picco sufficiente allo stop preventivo per tutelare la salute del corridore? Lo volle la camorra, secondo il pubblico ministero. Sarebbe così confermato quello che Renato Vallanzasca ha più volte ribadito negli ultimi anni: “Un membro di un clan camorristico in carcere mi consigliò fin dalle prime tappe di puntare tutti i soldi che avevo sulla vittoria dei rivali di Pantani – ha affermato Vallanzasca riferendosi a un colloquio avuto nel carcere di Opera – ‘Non so come, ma il pelatino non arriva a Milano. Fidati’, mi disse”. Alla fine si scelse la via del controllo falsato perché – secondo lo stesso bandito ed è ora convincimento anche dei magistrati – la camorra aveva scommesso miliardi di lire contro il Pirata. E Sottani ha ricostruito tutto, risalendo la catena di comando di quell’operazione che gettò ombre e discredito sul ciclista romagnolo. Fango dopo il quale Pantani non è mai più tornato davvero in bicicletta, fino alla morte nel residence Le Rose di Rimini il 14 febbraio 2004.
Diciassette anni dopo i fatti di Campiglio, si è giunti a mettere nero su bianco quello che Pantani e i suoi famigliari, prima e dopo la sua morte, hanno sempre sostenuto. Sui fronti civile e sportivo, la strada potrebbe invece non essere sbarrata e i legali della famiglia stanno vagliando le possibilità. Intanto mamma Tonina ha parlato a Premium Sport: “Finalmente qualcuno è riuscito a fare un buon lavoro. Non mi ridanno Marco ma ridano una dignità a Marco. Queste parole – ha detto riferendosi all’intercettazione – fanno male: è una conferma di quanto ha sempre detto Marco: “Mi hanno fregato”. Lui non lo ha mai accettato”.