Un non trascurabile supplemento di orrore, dopo quello immenso del massacro romano nell’appartamento del Collatino, lo hanno procurato le reazioni dei due padri di Manuel Foffo e Marco Prato; l’uno a godersi il quarto d’ora di celebrità a Porta Porta, l’altro a tracciare sui social il proprio profilo di grande “operatore culturale”.
In entrambi i casi, uno sfogo narcisistico che induce molti ragionamenti. In particolare, dopo le recenti discussioni innestate da “Cirinnà e dintorni” circa le presunte “naturalità alfaniane”, sullo stato dell’arte della famiglia canonica; in questa fase storica dominata dalla filosofia del “prima io”, in questo Paese devastato dall’apoteosi del fancazzismo e dall’irrisione di qualsivoglia valore generoso (a partire dalla socialità per arrivare al civismo). Perché i signori Foffo e Prato seniores, con le loro reazioni totalmente prive di pietà per la vittima e dominate soltanto da un’ossessione auto-assolutoria, sono il test estremo di dove siamo andati a finire.
Magari proprio in quegli interni di abitazioni da ceto medio, che i propugnatori ideologici della famiglia “mulino bianco” ci presenterebbero come l’antemurale a presidio dell’ordine sacro e salvifico del patriarcato. Le sbornie di luoghi comuni fasulli grazie ai quali hanno stravolto timpani e dibattito pubblico – con quelle loro voci che svariano su tutti i toni dell’emotività mistificatoria, dall’accorato patetico al tremendismo millenaristico – nelle manifestazioni di massa come il Family Day del 30 gennaio scorso, aizzato dal neocatecumenale bresciano Massimo Gandolfini al grido di “Dio lo vuole”, o nei giochi della politica inquinati dai ricatti dei CattoDem (a cui Matteo Renzi si è rivelato più che sensibile).
Fermo restando che l’oggetto della loro acritica propaganda è tangibilmente diverso da quanto ci viene raccontato. Tanto che già negli anni Cinquanta la politologia americana (Edward Banfield) elaborava la categoria del “familismo amorale” quale chiave interpretativa delle perversioni insite nel caso italiano. Anni dopo Joseph La Palombara arricchì ulteriormente l’indagine parlando di “clientela-parentela” come tabe del nostro sistema politico.
In sostanza, al di là delle retoriche, la famiglia – tanto nella sua versione standard di patriarcato come nella variazione sul tema del matriarcato – presenta da sempre forti tratti autoritari, che tendono a trasformarla in luoghi di violenza morale; e qualche volta pure materiale. Solo oggi si inizia a proiettare qualche raggio di luce sulle catastrofi umane, derivate dall’incapacità pedagogica di genitori impreparati al compito, non di rado portati a scaricare le proprie frustrazioni sui soggetti deboli che stanno loro attorno. Magari per ricevere conferme rassicuranti imponendo percorsi di studio e/o scelte professionali che ricalchino il loro percorso biografico.
Questo genere di consorzio basico, in cui prevaleva il comando e l’indifferenza riguardo agli aspetti non materiali della convivenza (il ruolo ridotto a mettere una minestra in tavola e fornire un tetto), ha subito una radicale trasformazione con l’entrata nella genitorialità delle coorti generazionali del dopoguerra, quelle a cui le demistificazioni sessantottarde avevano cancellato l’idea stessa di uomo-forte, insita nel modello patriarcale. Dunque – in particolare – padri insicuri che sostituiscono gli antichi padri-padroni; tendenzialmente portati ad assumere la posizione di “fratelli maggiori” o “amiconi”, rinunciando ancora una volta (questa volta per ragioni opposte) al compito primario di accompagnatori dei figli alla conquista della propria vera identità declinata in un proprio, specifico, progetto di vita.
Dunque, padri assenti, per non dire indifferenti, quelli che occupano la scena domestica (e pure le madri risultano in altre faccende affaccendate, dopo l’avvenuta liberazione dallo stereotipo carcerario de “l’angelo del focolare”); in apparenza inserita perfettamente nel modello strombazzato dai Gandolfini di turno e dei loro accoliti venuti dalla luna.
Gente che, per difendere una loro idea regressiva di società, vorrebbe nasconderci la verità: la famiglia è allo sfascio. E i casi estremi – come quello Foffo-Prato. dovrebbero metterci in guardia. Lo ripeto ancora una volta. Mai come ora torna opportuna la provocazione di Bertrand Russell, il quale proponeva un secolo fa l’idea della patente per poter fare i genitori.