Far salve le riserve indivisibili, che sono il cardine del sistema cooperativo, mantenendo però al 20% la quota del patrimonio da versare all’erario per rimanere fuori dalla holding unica. In più, permettere alla Bcc di mantenere la forma cooperativa, conferendo l’attività bancaria alla nuova società per azioni. E’ questa, secondo l’agenzia Ansa, la soluzione individuata nel corso della riunione di maggioranza alla Camera per modificare la parte del decreto banche che offre una “way out“ alle Bcc che non vogliono finire sotto il cappello della holding unica. E disinnescare, in questo modo, le proteste della minoranza Pd, che la settimana scorsa per bocca di Pierluigi Bersani aveva fatto sapere di non essere disposta a votare il testo, ora all’esame della commissione Finanze della Camera in prima lettura e atteso in aula il 21 marzo. Considerata la pausa pasquale, il governo potrebbe decidere di mettere la fiducia sul provvedimento già a Montecitorio e vuol essere sicuro di avere i numeri.
“Stiamo trovando soluzioni che vengano incontro alle criticità e obiezioni emerse in questi giorni, andando incontro alle legittime preoccupazioni del mondo cooperativo ma conservando una norma efficace per rafforzare il sistema delle banche del credito cooperativo”, ha detto il capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato all’uscita dall’incontro, a cui hanno partecipato il viceministro dell’Economia Enrico Morando, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti e il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi.
La principale “criticità” è quella sottolineata venerdì da Bersani, che su Facebook ha fatto notare che “liberare le riserve di una cooperativa creerebbe un precedente molto serio. Si tratta infatti di colpire al cuore il concetto stesso di cooperazione. Una cooperativa esiste in quanto impresa delle generazioni. Tremonti pensò a operazioni del genere, poi per fortuna ci ripensò. Qui si rischia di farle senza pensarci troppo”. In gioco c’è infatti il principio della indisponibilità e indivisibilità delle riserve della Bcc, frutto dell’accantonamento obbligatorio di almeno il 70 per cento degli utili netti, una parte dei quali in regime di esenzione fiscale.
Gli emendamenti proposti fino a oggi dai deputati su altri aspetti della way out sono una cinquantina. Alcuni punti trovano quasi tutti d’accordo, dalla necessità di prevedere un meccanismo di recesso anche dopo la creazione della holding a quella di fissare una data alla quale verificare i requisiti patrimoniali – ora 200 milioni di euro di patrimonio netto – per restare fuori. Sul meccanismo di uscita, invece, le posizioni andavano dalla richiesta di cancellare completamente con una riga di penna la way out all’escamotage del conferimento dell’attività bancaria alla nuova società per azioni, con le Bcc che rimangono però cooperative. Il punto di caduta sembra essere questa seconda opzione: la Bcc che decide di non aderire alla nuova holding invece che trasformarsi in spa potrà restare cooperativa, modificando la missione sociale e conferendo l’attività bancaria alla società per azioni. L’istituto dovrà comunque pagare una tassa straordinaria che dovrebbe rimanere al 20% del patrimonio netto. Su questoperò si tratta ancora. Non è chiaro peraltro come la banca spa senza le riserve possa soddisfare i requisiti di capitale Cet1 richiesti dalla Banca d’Italia e dalla Bce per concedere l’autorizzazione all’attività.
Durante il vertice sul decreto, che contiene anche le norme sulla garanzia dello Stato sulla cartolarizzazione delle sofferenze, si sarebbe affrontato anche il nodo dei gruppi territoriali: ci sono pressioni trasversali perché sia recuperata la norma ‘salva-Alto Adige’, che consentirebbe al gruppo Raiffeisen di rimanere autonomo come prevedeva il progetto di autoriforma messo a punto dalle stesse Bcc e recepito solo in parte dal governo.