Mosca ha annunciato il rientro dei militari dal paese di Bashar al-Assad, ma ha specificato che manterrà nel Paese mediorientale una base navale e una aerea. Allo stesso tempo, vuole "intensificare la sua partecipazione all’organizzazione del processo di pace per risolvere il problema siriano"
I militari russi lasciano la Siria perché “gli obiettivi sono stati raggiunti” e la missione delle forze armate e del ministero della difesa è stata completata. Ma, allo stesso tempo, il Cremlino manterrà un centro di controllo aereo e navale nel paese di Bashar al-Assad, che è stato informato della decisione di Mosca, per monitorare la tregua. Ad annunciare la mossa a sorpresa è il presidente russo Vladimir Putin, che ha specificato come il rientro dei militari inizierà già “domani”, anche se continueranno ad essere operative la base aerea di Hemeimeem, nella provincia di Latakia, e quella navale nel porto di Tartous. La speranza, ha aggiunto, è che il rientro delle truppe sia “una buona motivazione per dare inizio alle negoziazioni politiche tra le forze del paese” e possa essere “un segnale positivo” per tutte le parti coinvolte nel conflitto, aumentando il livello di fiducia di tutti i partecipanti al processo di pace.
L’annuncio di Putin arriva nel giorno in cui a Ginevra si è aperta una nuova tornata di negoziati, alla vigilia del quinto anniversario dell’inizio della spirale di violenza che ha messo in ginocchio il Paese. Il presidente russo, che ha spiegato l’inizio del ritiro proprio per facilitare lo svolgimento dei colloqui, ha chiesto al ministro degli Esteri Serghei Lavrov di “intensificare la partecipazione della Russia all’organizzazione del processo di pace per risolvere il problema siriano”. Tuttavia, Putin non ha dato alcuna scadenza per il completamento del ritiro e ha aggiunto che le forze di Mosca resteranno al porto di Tartous e alla base aerea di Hmeymim. “Con la partecipazione delle forze russe, le forze armate siriane sono state in grado di ottenere una fondamentale inversione di rotta nella lotta al terrorismo internazionale“, ha detto il presidente russo.
Mosca, le ragioni del ritiro delle truppe – Ma intorno al significato della decisione dello ‘zar’ rimangono alcuni dubbi. Primo perché Mosca non ha mai ammesso il dispiegamento di truppe sul terreno, bensì solo di forze aree impegnate dal 30 settembre scorso in raid per quello che è stato sempre presentato come l’obiettivo dell’operazione, la lotta al terrorismo. E l’Isis, escluso dal cessate il fuoco in vigore dal 27 febbraio, rimane padrone di vaste regioni, tra cui quella di Palmira, dove le forze governative stanno avanzando proprio con l’appoggio dei bombardamenti russi. In secondo luogo, rimarrà operativo, insieme alla base navale di Tartus, l’aeroporto russo di Hemeimeem, nella provincia di Latakia, da cui partono i raid.
Intanto una delegazione del regime siriano ha incontrato oggi a Ginevra de Mistura nella prima giornata del nuovo round negoziale. Governo e opposizione sono giunti nella città svizzera per riprendere separatamente con l’inviato dell’Onu le trattative che erano state sospese il 3 febbraio a causa di un’offensiva governativa nel nord sostenuta da massicci bombardamenti russi. “Non c’è nessun ‘piano B’ – ha avvertito de Mistura -. Se falliscono le trattative si torna alla guerra, che sarà peggiore di prima”. Ma il percorso da affrontare è lungo e accidentato perché, ha sottolineato ancora de Mistura, “la vera questione da affrontare, la madre di tutte le questioni, è la transizione politica“. E su questo le posizioni restano molto distanti.
Continuano nel frattempo gli sforzi delle organizzazioni umanitarie per portare soccorso alle popolazioni assediate approfittando della cessazione delle ostilità. Ma in una dichiarazione congiunta oggi le principali agenzie delle Nazioni Unite e i loro partner hanno detto di non essere riuscite finora a raggiungere nemmeno il 20 per cento dei civili interessati, mentre sui dati ci sono opinioni contrastanti. Secondo l’Onu, gli abitanti delle aree assediate sono circa mezzo milione, mentre Medici senza Frontiere ha parlato oggi di 1,9 milioni di persone. Le sofferenze più gravi sono quelle dei bambini, come ha ricordato in un rapporto l’Unicef: sono 8,4 milioni, pari all’80 per cento, quelli colpiti in qualche modo dal conflitto. Sette milioni vivono in povertà, mentre 3,7 milioni sono nati dopo l’inizio della guerra, e quindi non conoscono altra realtà.
Dopo il primo incontro con de Mistura, l’ambasciatore siriano all’Onu Bashar al Jaafari, che guida la delegazione di Damasco, ha detto che il colloquio è stato “positivo e costruttivo” e che le due parti torneranno a vedersi mercoledì. Prima di allora, cioè domani, il rappresentante dell’Onu incontrerà la delegazione delle opposizioni, denominata Alto consiglio per i negoziati (Hnc).
Ma nessuno si nasconde che lo scoglio contro il quale rischiano di infrangersi i negoziati è il ruolo di Assad nel futuro del Paese, di cui non a caso non hanno parlato Putin e il rais nella loro telefonata. De Mistura insiste sulla necessità di tenere elezioni presidenziali entro i prossimi 18 mesi. Le opposizioni pretendono l’uscita di scena del capo del regime, mentre la delegazione governativa ribadisce che le trattative devono procedere senza “precondizioni”. Inoltre, a pesare sul percorso negoziale è l’assenza delle forze curde che controllano vaste regioni nel nord della Siria, e che la Russia ha chiesto inutilmente di far sedere al tavolo delle trattative.