Non si sa quando, ma certamente arriverà il giorno in cui l’Isis sarà sconfitto militarmente. Vi sono già i segni di questo arretramento sul terreno di guerra in Siria e in Iraq e l’apertura di un fronte in Libia non può essere letto come un avanzamento del Califfato, ma come un arretramento in una zona dove regna il caos e i due governi, quello di Trobuk di Abdullah al Thani con il generale Haftar, governo riconosciuto internazionalmente e che gode del sostegno dell’Egitto; e quello di Tripoli, degli islamisti moderati che invece ricevono l’appoggio della Turchia e del Qatar e delle forze che si riconoscono nell’ideologia dei Fratelli Musulmani contro i quali combatte l’Egitto di Al Sisi.
Inoltre esistono più di centotrenta tribù e un numero impressionante di milizie armate. E per non farci mancare niente l’insediamento dell’Isis a Sirte. Questi riferimenti geopolitici, che ormai tutti conoscono, servono per richiamare l’attenzione, se ce ne fosse bisogno, sul caos libico e sul tentativo dell’Isis di sfruttare la situazione. Ma non voglio parlarvi della Libia e neanche degli appetiti guerrafondai che circolano in Europa e anche in Italia.
Voglio parlarvi dell’attacco dell’Isis a Ben Guerdane, una cittadina della Tunisia del sud alla frontiera con la Libia dove il contrabbando è di casa ma anche la miseria tipica di una situazione del sud tunisino che ha visto nel passato contrasti violenti con la parte più ricca della nazione.
A Ben Guerdane lunedì 7 marzo abbiamo assistito ad una azione di guerriglia dell’Isis con un commando composto da 60 e forse più uomini alcuni dei quali giovani nativi dello stesso paese che hanno cercato di impadronirsi della cittadina e grazie all’aiuto fornito dai giovani jihadisti del posto hanno assaltato posti di polizia e istituzione pubbliche facendo strage di persone che ricoprivano una carica pubblica e risparmiando i cittadini che a loro volta erano incoraggiati a battersi per la conquista di Ben Guerdane al Califfato, contro lo Stato centralizzato e affamatore del popolo tunisino.
La reazione non si è fatta attendere e le forze dell’Isis sono state messe in fuga. Questa è la cronaca ma gli interrogativi che si aprono sono diversi. Anzitutto una considerazione che cerca di rispondere all’interrogativo del titolo.
La messa in crisi dell’Isis porterà inevitabilmente ad una caotica azione di guerriglia/attentati che potranno avvenire sul nostro suolo, italiano e non, da schegge impazzite che dopo aver preso parte al folle progetto della costruzione del Califfato, avranno bisogno di perseguire nella disperazione il destino di morte che accompagna molti giovani jihadisti.
A questo proposito Le Monde riporta la notizia che Sky News ha recuperato documenti con nome, cognome, telefono e nazionalità di oltre 2000 appartenenti all’Isis.
Ora c’è da chiedersi cosa faranno questi affiliati che non potranno un domani fregiarsi di far parte dell’esercito trionfante di un califfo? Dove andranno e soprattutto, a fare che cosa? La domanda non è pellegrina e probabilmente dobbiamo prepararci ad una onda di choc ancora più forte e più insidiosa derivante dalla vendetta degli sbandati. Inoltre, il caso di Ben Guerdane rileva la pericolosità di una frontiera vulnerabile, come è quella tunisina, per un paese che ha fornito una consistente manovalanza di giovani che hanno raggiunto lo stato islamico in Siria.
C’è da chiedersi come mai i servizi di sicurezza non siano stati allertati in tempo per bloccare la guerriglia? E l’Europa rispetto a tutto ciò cosa fa? La priorità delle priorità e quella di aiutare la Tunisia nella difficile transizione verso la democrazia attraverso consistenti aiuti economici per far fronte alle condizioni di povertà in cui versa il paese e soprattutto a sud. Enunciare questa necessità è semplice, difficile è renderla operativa.
Il Parlamento europeo ha annunciato la possibilità di esportare senza dazio in Europa l’olio tunisino, con un aumento di 35mila tonnellate sulle già previste 56. Questa notizia è rimbalzata sulla stampa e immediatamente sia i piccoli produttori italiani che spagnoli, greci o altri si sono scagliati contro questa decisione perché lesiva dei loro interessi economici. La reazione miope dei produttori europei è parte integrante dello spirito di chiusura con cui si sta affrontando la questione dei migranti credendo che le barriere e i fili spinati potranno fermare questa gente che fugge dalla guerra.
Allora penso se non sia meglio avere sulle nostre tavole un po’ più di olio tunisino invece di dover essere costretti ad ospitare qualche foreign fighters combattente dell’Isis, a condizione che l’esenzione del dazio serva effettivamente ad alleviare il tasso di disoccupazione della Tunisia.
Ben venga, quindi, l’intervento del Parlamento europeo ma dobbiamo renderci conto trattarsi di una piccola goccia dinanzi ad una priorità politica di cui sembra che l’Europa non abbia sufficiente sensibilità.