Le baracche, più o meno degradate, non erano una sistemazione abusiva, ma un insediamento a norma di legge abitato da cittadini italiani. Salvini: "Chiudere un campo rom al mese". Don Colmegna (Casa della Carità): "Pura demagogia"
“Alla fine ha vinto il Comune”. Mentre smonta i mobili del suo container nel campo nomadi di via Idro, una rom cerca di darsi una ragione per quel trasloco. “Il Comune ha vinto”, ripetono in molti. Dopo il Tar, infatti, anche il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso delle famiglie del campo di via Idro dove sono circa un centinaio i rom che martedì mattina hanno abbandonato uno dei più vecchi campi comunali di Milano, aperto nel 1989. Perché in via Idro le baracche non erano una sistemazione abusiva, ma un insediamento a norma di legge abitato da cittadini italiani. Una grande area vicino al Lambro, in cui si alternavano degrado e prefabbricati decorosi, che è durata fino a quando la giunta non ha scelto di sprangarne le porte. “È una situazione di rischio ambientale, sociale, igienico-sanitario e di sicurezza”, ha ripetuto l’assessore alla Sicurezza Marco Granelli da agosto 2015, quando è stato scelto di chiudere via Idro. Uno sgombero che secondo Opera Nomadi è costato alle casse del Comune “oltre 400mila euro”. “Una cifra troppo alta – continua il presidente Maurizio Pagani – che non porterà ad alcuna soluzione”.
Dove saranno accolti i cento rom di via Idro – Le famiglie di via Idro temono di non potere più tornare in quella che è stata la loro casa per 26 anni si legge dalla concitazione dei gesti. Ma dove finiranno il centinaio di rom del campo? Circa 25 andranno tra i container del Centro di emergenza sociale (Ces) in via Lombroso, in zona Ortomercato. Una struttura che doveva essere chiusa, ma che è tornata a essere utilizzata solo dopo che un incendio ha distrutto parte del centro in via Barzaghi. Una decina di rom finiranno in via Martirano, otto alla Casa della Carità in via Brambilla e una ventina alla vicina comunità di accoglienza del Ceas di via Marotta. Oltre 13 persone, inoltre, erano già state trasferite da novembre nel Centro di autonomia abitativa (Caa) di via Ponti, dove la loro presenza dovrebbe essere prevista fino a fine luglio.
Opera Nomadi: “Il Comune spenderà oltre 400mila euro” – Volendo fare i conti in tasca al comune, “il progetto del Caa di via Ponti, che coinvolge una ventina di rom, prevede un contributo di 50mila euro”, continua Maurizio Pagani. “Facile fare il conto di quanto si spenderà per la collocazione del centinaio di persone di via Idro”, continua Pagani, tanto che secondo Opera Nomadi si potrebbe arrivare a un totale di 200mila euro per l’accoglienza dell’intera comunità rom ora sotto sfratto. “Se si aggiungono ai 200mila euro della ricollocazione, i 180mila euro che l’amministrazione ha speso a ottobre 2015 per fare una convenzione con cinque operatori che dovrebbero convincere i rom di Milano a uscire dai campi, si arriva a quasi 400mila euro”. Una cifra che, per il capofila dell’associazione milanese, si sarebbe potuta spendere per pagare l’affitto agevolato di appartamenti per due anni e mezzo.
D’altronde, i soldi non sembrano avere mai risolto la diatriba sui campi rom. “Dal 2008 al 2015 – continua Pagani – a Milano sono stati investiti 25 milioni di euro per la comunità rom. Eppure nulla è cambiato, mentre resta un’evidente continuità tra le scelte dell’ex sindaco Letizia Moratti e quelle di Giuliano Pisapia”.
Che “si sarebbero potute immaginare anche altre soluzioni” lo segnala anche don Virginio Colmegna, presidente Casa della Carità e consigliere d’amministrazione del Ceas, che ha sottolineato come la loro “scelta di accoglienza” sia stata dettata “dalla volontà di non lasciare prevalere l’abbandono”. Un’accoglienza temporanea, quindi, per permettere ai rom di raggiungere un’autonomia economica e abitativa”. Perché non è solo una questione di costi ma anche di tempo.
“L’accoglienza durerà massimo un anno” – Mentre alla Casa della Carità e al Ceas di via Marotta ci potrebbe essere una permanenza più lunga, infatti, “in via Ponti e al Centro di emergenza sociale di via Lombroso, i nomadi potrebbero doversi allontanare a fine luglio, con un contratto in una mano e le chiavi di casa nell’altra”, sorride Maurizio Pagani, evidenziando le difficoltà di un percorso comunale che prevede – in pochi mesi – che i membri della comunità rom si rendano indipendenti dal punto di vista lavorativo e abitativo. “Il paradosso è che i rom di via Idro non avevano bisogno di una sistemazione di emergenza – continua il presidente di Opera Nomadi – avendo già una situazione stabile, con abitazioni semplici e lavori saltuari”. Ma ora, essendo trapiantati in altri quartieri, “potrebbero davvero perdere tutto”. Un futuro ancora più incerto con l’arrivo della prossima amministrazione milanese, visto che “le garanzie offerte oggi dalla giunta Pisapia – precisa Pagani –potrebbero non essere mantenute dal prossimo primo cittadino”.
Salvini: “Chiudere un campo rom al mese” – Con le amministrative alle porte, infatti, poche ore prima della chiusura di uno dei più antichi campi rom di Milano, il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, accanto al candidato sindaco di centro destra Stefano Parisi, non ha perso occasione per lanciare il nuovo slogan “Chiudere un campo rom al mese”. Una proposta che non è stata bene accolta dal terzo settore, rilevando la poca fattibilità di un programma di questo tipo. “Tecnicamente non è possibile – replica Pagani di Opera Nomadi – stiamo parlando di cittadini italiani, quindi i tempi di sgombero sono sempre allungati da ricorsi al Tar o al Consiglio di Stato”. Dello stesso parare anche Colmegna della Casa della Carità che definisce pura “demagogia” la proposta del sostenitore del candidato sindaco di centro destra. “Chiudere un campo rom al mese vuol dire lavorare nell’ottica delle ruspe, senza nessun tipo di attenzione umana e sociale”. Una proposta inutile, inoltre, visto che “sgomberare in modo fine a se stesso”, come già visto e rivisto in passato, “significa semplicemente spostare le persone da un posto all’altro della città”.