Ministro dell'Industria del governo ombra di Occhetto, negli anni Novanta ha guidato la società pubblica per le partecipazioni industriali, arrivata ad accumulare un rosso di mille miliardi di lire. D'Alema l'ha voluto nel consorzio per la ricostruzione dei Balcani. Oggi presiede Pu.fin, finanziaria avellinese che ha attinto in più occasioni a contributi pubblici senza mai far decollare un'azienda
“Il Pci ecologista è solo una moda”. Correva l’anno 1989 e Gianfranco Borghini, ministro dell’Industria nel “governo ombra dell’opposizione” ideato da Achille Occhetto, sparava a zero sulla svolta verde del suo partito. Sul settimanale ciellino Il Sabato parteggiava per il nucleare che riteneva avrebbe potuto essere utile al Paese. Da allora ne è trascorso di tempo, ma l’Italia non è neanche riuscita a mettere in sicurezza le scorie delle centrali dismesse. Tuttavia Borghini è rimasto un paladino dell’indipendenza energetica. Questa volta sostenendo le ragioni delle trivelle petrolifere in vista del referendum del 17 aprile. L’ex boiardo di Stato è infatti ideatore e promotore del Comitato referendario anti No Triv. Obiettivo? “Sfatare, dati alla mano, tutte le bugie di chi nella Penisola si oppone strumentalmente alle trivellazioni”, come riferisce in uno dei molteplici articoli sul tema pubblicati da Formiche.net, giornale online che fa capo al consigliere Rai Paolo Messa, direttore del think tank Centro Studi Americani.
Per il Comitato “chi si spende per il sì a questo referendum lo fa portando argomentazioni che non hanno nulla di scientifico” e che rischiano di mettere a repentaglio lo sviluppo del settore idrocarburi, che offre opportunità di investimento e ricerca. Tema tra l’altro sposato anche dal segretario dei chimici della Cgil, Emilio Miceli, e da Claudio Velardi, ex dalemiano di ferro, oggi renziano, che si sta spendendo a favore delle trivelle con la sua società di lobby Reti e che figura tra gli autori di punta di Formiche. Che Borghini e il club pro-triv abbiano ragione? Nel caso del nucleare, di certo, l’Italia sarebbe stata più indipendente sotto il profilo energetico. Tuttavia come suggerisce l’associazione francese Sortir du nucléaire ancora non sono chiari i costi reali della dimissione di una centrale nucleare e della gestione delle scorie.
La questione è complessa e ha mille sfaccettature come del resto il profilo di Borghini. Uomo del vecchio Pci, il politico bresciano, classe 1943, è da sempre l’anima manageriale della famiglia. A scalare le vette della politica è infatti il fratello gemello Giampiero, ex sindaco di Milano negli anni d’oro del partito Socialista craxiano. A lui è riservata la carriera di manager pubblico. Ma insieme i due fanno squadra e tessono una trama di amicizie che contano e che porteranno i loro frutti: nel 1996, sotto il governo Prodi, Gianfranco viene catapultato ai vertici del carrozzone pubblico Gepi, la società pubblica per le gestioni e partecipazioni industriali, poi Itainvest ed infine Sviluppo Italia. Al suo insediamento dichiara che attuerà un “taglio netto con il passato” e non si occuperà di effettuare “salvataggio di realtà decotte”. Ma il 1997 si chiude con un rosso da 253 miliardi di lire.
La situazione non migliora neanche nei due anni successivi in cui Borghini resta presidente e consigliere di Itainvest: “L’ex Gepi, la cui avventura non può che definirsi fallimentare in cinque anni di vita – dal 1993 al 1997 – infatti, è stata capace di accumulare mille miliardi di perdite nette, compensate soltanto dall’enorme dotazione di liquidità a più riprese effettuata dal ministro del Tesoro, 1.900 miliardi soltanto tra il 1993 e il 1995”, sostiene un’interrogazione parlamentare datata 21 dicembre 1999 e firmata da un gruppo di parlamentari dell’Ulivo. Non aiuta nemmeno l’incorporazione di Itainvest in Invitalia di cui Borghini è presidente del cda fino al 2008.
Ma in assoluto l’esperienza più oscura nella carriera di Borghini è il Co.Ri.Ba, il consorzio per la ricostruzione dei Balcani, dove entra come membro del comitato direttivo accanto a un gruppo di uomini di fiducia di Massimo D’Alema. Primo fra tutti Franco Mariani, in passato responsabile dei trasporti del Pci-Pds e vicino all’eminenza grigia dei Ds Francesco De Santis. Sono anni difficili per i Balcani e anche per D’Alema che accusa il colpo dello scandalo degli sprechi della Missione Arcobaleno, nata per offrire solidarietà ai profughi di etnia albanese in fuga dal Kosovo e diretta per un anno dal fratello di Borghini, Giampiero. Per questo D’Alema coinvolge nel Co.Ri.Ba solo le persone di sua più stretta fiducia. Per far cosa non si sa: “In effetti il Consorzio per la ricostruzione dei Balcani è nato nel 1999, con D’Alema premier, ed è stato messo in liquidazione nel 2002, ma non s’è mai capita fino in fondo la sua attività”, nota Panorama in un articolo datato ottobre 2011.
Come del resto resta un mistero la passione di Borghini per l’energia: il petrolio, il nucleare e anche i pannelli solari, un business quest’ultimo che dal 2011 Borghini segue da vicino come presidente del consiglio di amministrazione della Pu.fin, la finanziaria di Massimo Pugliese, imprenditore di Frigento (Avellino) noto per aver attinto, in più occasioni, a contributi pubblici senza mai riuscire a far decollare un’azienda. La sua ultima creatura? La El.Ital, specializzata in pannelli solari, ha fermato la produzione nel giugno scorso lasciando per strada 160 persone. Un’esperienza fallimentare che deve aver spinto Borghini a riflettere sulle potenzialità delle trivelle.