Il 31 gennaio 2006 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, di concerto con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, emanò un decreto per il “Riassetto delle Scuole di specializzazione nel settore della tutela, gestione, valorizzazione del patrimonio culturale” (pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 15 giugno 2006). Questo riordino delle Scuole universitarie di specializzazione ha riguardato i Beni archeologici e del paesaggio, storico-artistici, archivistici e librari, demoetnoantropologici, musicali, scientifici e tecnologici, naturali e territoriali: dunque più o meno tutti i settori del patrimonio culturale della nazione.

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Con una novità particolarissima, che qui ci interessa direttamente: il decreto ha contemplato, per la prima volta nella legislazione del nostro Paese, i “beni musicali”. L’idea di un percorso formativo apposito per quest’ambito dimostra che il Ministero sa bene di dover amministrare, tra tanti altri “beni”, anche l’ingente, pregevolissimo patrimonio musicale della nostra Italia, affidandolo a figure competenti, dotati di una preparazione specialistica. Dov’è allora il problema? È presto detto. Sono passati dieci anni, ma la figura dell’esperto dei beni musicali, per il quale nel 2006 MiBact e Miur hanno previsto una formazione ad hoc, non è ancora stata istituita. In altre parole: per i beni musicali, il lodevolissimo decreto è tuttora lettera morta.

L’arte musicale, di suo, è un bene immateriale, e in questo senso è diversa, poniamo, dalla pittura: un dipinto ha una consistenza fisica (perciò deperibile) e ha un valore di mercato. L’arte musicale è costituita da suoni che si propagano nell’aria grazie agli esecutori, e può rivivere ogni volta all’atto dell’esecuzione e dell’ascolto; e il valore di mercato è in capo agli editori e agli esecutori. Ma accanto alle opere musicali in senso stretto, ci sono numerosi “beni materiali” pertinenti alla musica: strumenti, partiture, trattati, documenti, edifici. Un esempio concreto: La traviata di Verdi è patrimonio immateriale se pensiamo alla sua esecuzione in teatro, è patrimonio materiale se ci riferiamo all’autografo del compositore, agli abbozzi conservati dagli eredi, alle incisioni storiche, alle scene e ai costumi di allestimenti memorabili.

Che compiti avrebbe il funzionario per i Beni musicali? Dovrebbe riconoscere il pregio dei beni musicali materiali, individuarne caratteristiche e rilevanza, vigilare su di essi. Qualche esempio. Un dipinto del Seicento, magari poco significativo sotto il profilo pittorico, può contenere informazioni preziose per la storia della musica e degli strumenti musicali: solo un esperto di musica può accertare e valorizzare tali aspetti, all’atto del restauro e della descrizione catalografica. I libri di musica hanno formati e contenuti decisamente inusitati: il miglior restauratore librario dev’essere guidato da un esperto, giacché – cosa delicatissima nei manoscritti di musica – un colore, una sfumatura, un segno particolare nel rigo o accanto ad esso, magari trascurabile all’occhio dell’ignaro, possono fornire segnali importanti per la datazione del codice e per il significato del testo musicale. Lo stesso vale per gli edifici musicali, teatri e sale da concerto: è indispensabile che all’architetto si affianchi uno studioso di acustica (scienza complessa e sfuggente!) ma anche uno storico della musica che documenti le caratteristiche specifiche della struttura teatrale originaria. La conservazione degli strumenti in un museo richiede competenze di livello avanzato, e non solo l’estro e la bravura di un liutaio di talento. Molte biblioteche storiche italiane – l’Estense a Modena, la Braidense a Milano, la Marciana a Venezia, le Nazionali a Torino, Firenze, Roma, l’Universitaria a Bologna – possiedono fondi musicali ingenti: la loro conservazione pone problemi peculiarissimi, che oltrepassano le competenze del bibliotecario generalista.

Una scuola di specializzazione come quella disegnata dal MiBact e dal Miur dieci anni fa servirebbe proprio a questo: formare specialisti che accudiscano con competenza al nostro splendido patrimonio culturale musicale. Ma va da sé che il titolo professionale da essa rilasciato deve poi essere “riconosciuto” dallo stesso MiBact, con un profilo funzionariale apposito. L’idea concepita nel 2006 è ottima. Possiamo sperare che nel 2016 il Ministro la faccia passare dalla “potenza” all’“atto”?

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