Non è il gol di Thomas Mueller a cambiare le carte in tavola. Anche senza l’incornata del tedesco, al termine degli ottavi delle competizioni europee saremmo qui a certificare lo stato comatoso del nostro calcio. Un vero e proprio disastro: nelle sedici squadre qualificate ai quarti di Champions ed Europa League non ci sono italiane. L’ultima speranza è naufragata in meno di quarantacinque minuti all’Olimpico, dove la Lazio è stata travolta dallo Sparta Praga. I cechi non sono una corazzata, anzi. Eppure hanno affettato i biancocelesti con i gol di Dockal, Krejci e Julis. Tanti saluti all’Europa – dove non andava peggio di così da quindici anni – e anche al possibile aggancio al terzo posto dell’Inghilterra nel ranking Uefa, una rincorsa finita male dopo essere stata salutata nel corso del 2015 come il termometro di un movimento vivo. Adesso, anzi, la situazione rischia di complicarsi guardando alla Champions 2017/18.
Si salva la Juve, ancora una volta, nonostante l’eliminazione. Quello dei bianconeri è un discorso a parte e non dipende dall’accesso o meno nelle Big 8 del calcio continentale. All’Allianz Arena è andata male, ma il livello di gioco dei bianconeri rappresenta ormai una bella realtà in Champions League. La finale di Berlino era un indizio, il Bayern è stata la prova. Il club guidato da Andrea Agnelli compete in campo e (ci prova) fuori con le potenze continentali. Sta raccogliendo i frutti di quanto ha seminato dopo la retrocessione dovuta a Calciopoli. Il problema sono tutte le altre. Il sospetto è che sia figlio dell’inerzia del movimento, il quale – colpevolmente – continua a non cogliere i segnali di cedimento strutturale. Del resto, non per caso il campionato sta sottolineando la distanza siderale che esiste tra la Juve e il resto della Serie A. Buffon e compagni non perdono da un girone intero: 18 vittorie e un pareggio nelle ultime diciannove partite. Hanno sorpassato a piacimento undici squadre, incassando appena quattro gol: gli stessi che il Bayern è riuscito a segnare in mezz’ora di gioco. Nei quattro anni precedenti hanno chiuso la pratica scudetto in sei mesi e nelle prossime settimane si capirà se il Napoli di Sarri e Higuain riuscirà a evitare la cinquina.
Lo stesso Napoli scomparso ai sedicesimi senza vincere contro il Villareal, quarto in Liga a 22 punti dal Barcellona. È accaduto nel momento più delicato della stagione, durante un febbraio da incubo per gli azzurri: appena una vittoria, contro il Carpi, lo scontro diretto perso e una serie di anonimi pareggi. Nello stesso turno la Fiorentina, incensata per il bel calcio ricercato e spesso trovato, ha preso tre sberle dal Tottenham, che a sua volta ne ha presi 3 dal Borussia Dortmund nell’andata degli ottavi. Sorteggio sfortunato, si è detto. Certo, ma la differenza tra un’italiana e un’inglese di livello resta lo stesso, certificato dal risultato a prescindere da quando si sono incrociate. Milan e Inter non si sono neanche qualificate e continuano a vivere situazioni difficili in campo e in società, così ai preliminari l’Italia ha presentato la Sampdoria, sbeffeggiata dal Vojvodina. Mentre agli ottavi la seconda squadra del campionato ceco, alle spalle del ‘mastodontico’ Plzen, ha fatto quel che ha voluto della Lazio, già eliminata dal Bayer Leverkusen nei preliminari di Champions.
Si vive di acuti o di marce nella media, leggasi Torino e Napoli dello scorso anno, senza riuscire a dare continuità ai risultati stagione dopo stagione. Ai quarti ci vanno squadre ucraine, turche e ceche, oltre alle solite spagnole, tedesche e inglesi. In Champions, il Chelsea è uscito agli ottavi e il Manchester City ha passato il turno. In Europa League, solo lo scontro diretto tra Liverpool e Manchester United ha impedito di vederle entrambe nelle prime otto. In un anno anomalo in casa propria, dove il Leicester sta incartando tutti, i potenti club d’Oltremanica fanno comunque la loro figura nelle coppe. E probabilmente ne porteranno una casa. A un’italiana non accade da sei anni, ormai. Ora non sembrano neanche poterci più provare.