Guerini e Serracchiani ufficializzano la posizione del partito e sfidano la minoranza dem: “Consultazione non serve. Nella direzione di lunedì vedremo chi ha i numeri, a norma di Statuto, per utilizzare il logo”
Il Partito democratico si schiera per l’astensione nel referendum contro le trivelle. Nonostante sette delle nove regioni che l’hanno proposto siano amministrate dal Pd. E la grana rappresentata fino a poco tempo fa dalla battaglia dei territori ora si allarga e diventa una sfida interna al Pd. Anche a livello nazionale. Tutto è partito dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Sono state rese note le richieste di soggetti politici intenzionati a chiedere spazi informativi o nelle tribune politiche elettorali sulle televisioni private, in vista del referendum. Nella tabella dell’Agcom si legge nero su bianco: “Pd, astensione“. Il partito si è schierato ufficialmente. Con un invito a disertare le urne che ha scatenato diverse reazioni, oltre all’imbarazzo dei rappresentati delle regioni in prima linea per il referendum. Ma la decisione non è andata giù neppure alla minoranza del partito, a cui non sarà passato inosservato il nome in bella vista su quella tabella. Perché il Pd ha comunicato la richiesta attraverso il suo rappresentante, Lino Paganelli, ex bersaniano e per anni organizzatore delle Feste dell’Unità, uno dei primi a passare con Renzi nel 2012. L’ultimo smacco arriva con l’ufficialità: “Questo referendum è inutile” dichiarano i vicesegretari Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani. E’ la chiusura del cerchio: “Lunedì vedremo chi ha i numeri – a norma di Statuto – per utilizzare il simbolo del Pd”.
LA POSIZIONE DEL PD E LA DOPPIA GRANA – È vero che Matteo Renzi aveva già espresso la sua posizione (a fatti e a parole) riguardo al quesito referendario. Ed è vero anche che i promotori del referendum vogliono abrogare una norma della legge di stabilità proposta da governo e approvata dal Parlamento (con un contributo determinante del Pd), ma l’invito ad astenersi dal voto per quelle regioni che hanno proposto il referendum e che sono amministrate dal Pd è tutta un’altra storia. Che arriva dopo gli emendamenti alla legge di Stabilità (che, secondo le Regioni, avevano l’unico scopo di annullare la consultazione) e dopo il ‘no’ all’election day per accorpare quel voto alle amministrative. Ma questa volta lo strappo è doppio e la segreteria nazionale deve fare i conti non solo con i rappresentanti del Pd a livello regionale, ma anche con la minoranza, a livello nazionale.
LE REAZIONI DELLA MINORANZA – Tra i primi a contestare la decisione di schierarsi per l’astensione, infatti, è stato Roberto Speranza (leader di Sinistra riformista) che ha affidato le sue perplessità a Facebook. “È una posizione che non condivido affatto e che non credo possa essere compresa da una parte significativa dei nostri elettori” ha scritto Speranza, che si è domandato “come e dove sarebbe stata assunta questa scelta” dato che “la segreteria non si riunisce da mesi”, mentre “la direzione e l’assemblea non mi risulta abbiano mai discusso di questo referendum”. Dal fronte della minoranza sono intervenuti anche Miguel Gotor (che ha dichiarato che voterà ‘sì’ al referendum) e Davide Zoggia, parlamentare Pd ed espressione della minoranza bersaniana: “C’è un referendum, i cittadini italiani spendono denari per tenerlo – ha ricordato – e un partito serio ne discute e prende una decisione, non cerca di far passare sotto silenzio una scelta così delicata”. E poi l’affondo sulla scomoda posizione dei rappresentanti territoriali. “Molti nostri iscritti e simpatizzanti in diverse Regioni – ha detto Zoggia – si sono già schierati per il sì e si rischia di isolarli”.
L’IMBARAZZO DELLE REGIONI – Il governatore della Puglia Michele Emiliano ha subito chiarito: “Non mi risulta che il Pd abbia assunto alcuna decisione su questo punto così importante per la politica energetica del Paese”. In un’intervista al Tg2000 Emiliano ha commentato: “Credo che si tratti di un refuso burocratico, ma se non fosse così deve essere cambiato lo Statuto del Partito Democratico”. Eppure il sentore che tutto ciò fosse possibile già c’era: “Non vorrei che anche su questo si adottasse la tecnica del ‘detto non detto’ che ha in qualche maniera inficiato la credibilità del Pd su tutta la vicenda del referendum”. C’è amarezza anche nelle parole di Piero Lacorazza, presidente del Consiglio regionale della Basilicata, (capofila nel referendum). Anche lui del Pd. Una doccia fredda per chi ha promosso e votato i quesiti “insieme a circa cento consiglieri regionali, iscritti al Pd ed espressione di centinaia di migliaia di preferenze dirette”. Così Lacorazza ha annunciato: “Sono iscritto al Pd, ci resto e non mi astengo. E farò campagna referendaria per il sì al referendum del 17 aprile”. Poi la conferma. A darla nel pomeriggio è Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana): “Abbiamo appena finito la riunione della Commissione parlamentare di vigilanza Rai che doveva esaminare le richieste d’accesso alle tribune elettorali per il referendum contro le trivelle di domenica 17 aprile. E la brutta notizia è che il Pd ha annunciato la propria posizione di astensione al referendum”.
LA POSIZIONE UFFICIALE – L’altra conferma, quella ufficiale, in una nota firmata da Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani. “Questo referendum è inutile. Non riguarda le energie rinnovabili, non blocca le trivelle (che in Italia sono già bloccate entro le 12 miglia, normativa più dura di tutta Europa)” affermano i vicesegretari del Pd. Ed è ormai aperta la sfida: “Chi vuole dare un segnale politico, fa politica: non spende 300 milioni del contribuente. Lunedì vedremo chi ha i numeri – a norma di Statuto – per utilizzare il simbolo del Pd”. Poi si entra nel merito, utilizzando concetti molto vicini al fronte del sì alle trivelle ma schierandosi per l’astensione. Il rischio occupazionale ne è l’esempio più concreto: “Ci sono alcune piattaforme che estraggono gas. Ci sono già. Vi lavorano migliaia di italiani. Finché c’è gas, ovviamente è giusto estrarre gas”. Per Guerini e Serracchiani “sarebbe autolesionista bloccarle dopo avere costruito gli impianti”. Di tutto questo si parlerà, dunque, durante la direzione di lunedì “ratificando la decisione presa come vicesegretari”. Che chiudono: “Non raccontiamo che è un referendum contro le nuove trivellazioni, non raccontiamo che è un referendum che salva il nostro mare, anche perché a quel punto le aziende non smonteranno le trivelle che resteranno per sempre nel mare, anche se non operative. Non c’è nessuna nuova trivella, ma solo tante bugie – concludono – La serietà prima di tutto. Ma lunedì parleremo anche di questo e vedremo chi ha i numeri”.