ISTANBUL – Mehan Karimi Nasseri, interpretato da Tom Hanks nel film The Terminal, visse per 18 anni nell’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi, al Jfk di New York nella pellicola di Spielberg. Ma, nella sua prigionia, era certamente più libero di Fadi Mansour, venitsettene siriano. Il giovane è bloccato nell’aeroporto Ataturk di Istanbul dal 15 marzo 2015, da quel giorno vive nella “stanza per passeggeri problematici”.
Nel 2012 Mansour, studente al quarto anno di legge, lasciò la Siria per evitare il servizio militare e cercò rifugio in Libano. Qui venne preso in ostaggio da un gruppo islamista, fu liberato dopo il pagamento di un riscatto. Nel 2014 arrivò in Turchia, ma dopo pochi mesi prese un aereo per la Malesia. Accusato di viaggiare con documenti falsi venne rispedito a Istanbul. Per otto mesi visse in aeroporto aspettando che il governo di Ankara approvasse la sua richiesta d’ingresso nel paese. Dopo essere stato aggredito da un’altra persona della “stanza per passeggeri problematici” decise di tornare in Libano. Il 20 novembre 2015 prese un volo per Beirut, ma anche lì gli venne negato l’ingresso e fu rinviato all’aeroporto di Istanbul, dove si trova tutt’ora.
“Oggi il mio unico sogno è quello di dormire al buio. Poi vorrei vedere la luce del sole e andare all’aria aperta” ha spiegato Mansour nei giorni scorsi a un giornalista turco del sito Bianet. Lo scorso 15 marzo il siriano ha postato sul suo profilo Twitter una foto di se stesso con un cartello in mano “Un anno è abbastanza. Ho bisogno della mia libertà”. Il profugo è confinato in una stanza, senza finestre e illuminata artificialmente, con altre 30/40 persone. Secondo Amnesty International il trattamento detentivo riservatogli è considerabile “crudele, inumano e degradante”.
I lavoratori della galleria commerciale dell’aeroporto, dove il siriano viene lasciato libero di passeggiare di tanto in tanto, dicono di non aver mai sentito parlare di qualcuno che viva nel terminal. “Lavoro qui tutti i giorni da cinque anni – scherza un commesso del duty free – anche io sono un rifugiato”. Ma la situazione di Mansour è ben più grave di una battuta. Sempre con un tweet il rifugiato mostra un hamburger: “Ora di pranzo, prego venite a condividere il mio menù quotidiano da un anno”. Dopo questi tweet Mansour non ha più parlato con i media. Abbiamo tentato di chiedere spiegazioni alla gestione dell’aeroporto, ma non ci sono state risposte.
It is lunch time, please come and share my one-year daily dish pic.twitter.com/jO5rV7knhx
— Fadi Mansour (@Fadimans0ur) 16 marzo 2016
A ottobre dello scorso anno, sempre ad Ataturk, fu ritrovata impiccata nei bagni la giornalista inglese Jacky Sutton. L’ex inviata di guerra della BBC, secondo le ricostruzioni della polizia, si suicidò dopo aver perso un volo, perché non avrebbe avuto i soldi per comprare un nuovo biglietto. Nei giorni successivi si venne a sapere che al momento del ritrovamento la Sutton aveva in tasca 2300 euro.
Dalla creazione del Califfato islamico la maggior parte dei foreign fighters diretti in Siria sono transitati per l’aeroporto di Istanbul, il più grande hub che collega l’Europa con l’Asia. Difficile speigarsi come ad Ankara siano più preoccupati per l’eventuale ingresso nel paese di Mansour, piuttosto che delle migliaia di jihadisti che usano la Turchia come porta d’accesso, e d’uscita, allo Stato Islamico.