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Allarme siccità in Venezuela e il governo manda in ferie obbligate tutti i dipendenti pubblici

Il paese sudamericano è sotto il giogo di El Niño che ha fatto impazzire le temperature. Così il presidente Maduro ha adottato il provvedimento per risparmiare elettricità e acqua, ma secondo gli esperti la misura è tardiva e la crisi idrica poteva essere scongiurata con la manutenzione degli impianti

In vacanza obbligata per decisione del Governo: è quello che accadrà agli impiegati pubblici e delle scuole statali venezuelane in occasione delle festività pasquali. Il presidente Nicolas Maduro ha infatti deciso, per decreto, una settimana di chiusura di tutti gli uffici amministrativi ed educativi pubblici, da sabato 19 marzo a domenica 27, per risparmiare energia elettrica e acqua, a causa della grave siccità causata da El Niño, il fenomeno climatico che provoca un forte riscaldamento delle acque del Pacifico.

Il provvedimento arriva dopo che il livello d’acqua nella più grande diga del Paese è sceso a soli tre metri dal suo minimo operativo.

E questa è solo l’ultima delle misure prese dal premier del Venezuela per far fronte alla scarsità di acqua e corrente elettrica. Il 25 febbraio scorso ha infatti ordinato la riduzione dell’orario di lavoro degli impiegati pubblici per risparmiare energia, e sempre a febbraio ha imposto alcuni black out programmati ai centri commerciali e l’orario a funzionamento ridotto nel caso non possano autoprodursi elettricità nelle ore di maggior consumo. La colpa, dicono le autorità venezuelane, è tutta del Niño, che ha fatto calare drasticamente le piogge, esaurendo la capacità di produzione idroelettrica.

Anche nel 2010 il Paese è stato teatro di una forte crisi elettrica, e nelle province continuano a esserci black out. Ma secondo gli esperti la crisi idrica avrebbe potuto essere evitata se il governo avesse investito sulla manutenzione e fosse andato avanti sui piani di espansione degli impianti termoelettrici.

Quella idrica è solo una delle difficoltà che si sommano ad un momento particolarmente difficile per il Venezuela, che patisce una pesante crisi economica, a causa del crollo del prezzo del petrolio, di cui è uno dei maggiori esportatori mondiali. E su come affrontare la crisi si sta consumando lo scontro tra Maduro e il Parlamento, dominato dall’opposizione chavista. L’ultimo episodio è stato il no dell’Assemblea nazionale alla proroga di 60 giorni del Decreto di emergenza economica proposto dal presidente, con la controproposta di un piano finanziario alternativo anti-crisi che verrà presentato il 6 aprile. Ma il Tribunale supremo di giustizia che, secondo l’opposizione, è dominato in maggioranza da magistrati vicini a Maduro ha invece dichiarato costituzionale la proroga del decreto necessario ad affrontare la “guerra economica” di cui è vittima il Paese, l’attacco alla moneta e la caduta del prezzo del petrolio.

Sul fronte del valore del greggio è possibile che qualche novità arrivi invece dal vertice a 15, convocato a Doha dai Big dell’oro nero per il 17 aprile, al fine di congelare la produzione e far risollevare i prezzi. Il solo annuncio dell’incontro è bastato a far volare le sue quotazioni del 4 per cento nonostante alcuni nodi irrisolti a partire dalle intenzioni dell’Iran. Vi parteciperanno circa 15 fra Paesi dell’Opec e altri estranei al cartello.

La riunione fa seguito a quella tra Russia, Arabia Saudita, Venezuela e Qatar di metà febbraio, che già aveva innescato un recupero dei prezzi del 30 per cento circa dai minimi pluriennali toccati allora sotto i 30 dollari. Il vertice di aprile dovrebbe servire ad allargare il numero dei paesi disponibili a tagliare la produzione. Ma resta lo scetticismo di molti, dopo i ripetuti fallimenti dell’Opec nel ridurre la produzione (andrebbe a tutto beneficio dei Paesi che non partecipano al taglio) tanto da far parlare di un tramonto del cartello petrolifero. Ci sono dubbi sul fatto che un congelamento possa davvero alterare gli equilibri di mercato.