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Eni, lo Stato parallelo. L’inchiesta sul potere del Cane a sei zampe: “Russia, mazzette e milioni alla stampa”

I rapporti opachi con Mosca ai tempi di Berlusconi, i fondi neri e le tangenti, una politica estera autonoma e dominante su quella della Farnesina. Andrea Greco e Giuseppe Oddo raccontano in un libro edito da Chiarelettere i retroscena inediti e dettagli finora rimasti riservati sul gruppo guidato da Descalzi

Fondi neri, tangenti, una politica estera autonoma e dominante su quella della Farnesina, centinaia di milioni per garantirsi una stampa amica: sono queste le declinazioni dello “Stato parallelo”, come i giornalisti Andrea Greco e Giuseppe Oddo chiamano l’Eni in un loro libro che esce oggi per Chiarelettere, dopo oltre cinque anni di inchiesta. Il gruppo petrolifero fondato da Enrico Mattei e guidato oggi da Claudio De Scalzi è molto di più che un’azienda, è una “impresa al servizio dello Stato capace, all’occorrenza, di piegare lo Stato ai propri interessi”, come scrivono Greco e Oddo. Nel libro ci sono molti retroscena inediti e dettagli finora rimasti riservati su come si è dispiegato il potere dello “Stato parallelo”.

I rapporti con Mosca – Negli anni in cui Silvio Berlusconi è stato al governo l’Eni ha rafforzato i suoi rapporti con la Russia di Vladimir Putin, in ottimi rapporti anche con Romano Prodi ma amico del Cavaliere. Il 30 ottobre 2003 il vicepresidente della Gazprom, l’azienda di Stato Russa, chiede all’allora ad di Eni Vittorio Mincato di coinvolgere nell’importazione di gas dalla Russia Bruno Mentasti. Mincato non sa neppure chi sia, visto che Mentasti si occupa di acqua minerale e non di energia, ma è amico di Berlusconi. Gli aveva già fatto da prestanome ai tempi di Telepiù, quando il Cavaliere gli aveva intestato una quota della pay tv di cui doveva liberarsi per ragioni di Antitrust. Chi sono i veri azionisti della Centrex Europe Energy & Gas cui è legato Mentasti? A chi andranno davvero i profitti di questa strana alleanza con Gazprom? Non si può sapere. Alla fine l’operazione salta in quei termini, ma i rapporti con la Russia si consolidano (e Gazprom riesce comunque ad accedere al mercato italiano tramite Eni e Centrex, con tre miliardi di metri cubi di gas all’anno). Oddo e Greco rivelano che l’accordo siglato 2006 tra Eni e Gazprom ha una pesante ricaduta: il gas comprato dalla Russia tramite il gasdotto Tag arriverà direttamente in Italia, a Tarvisio, e non in Austria a Baumgarten, come nel primo progetto. Risultato: l’Eni può venderlo solo all’Italia invece di piazzarlo nel mercato europeo quando ci sono picchi di domanda.

Le tangenti da Mattei all’unità di crisi di Bernabè – L’Eni fin dall’inizio pagava tangenti ai partiti. Mattei gestiva la cosa in prima persona. L’inchiesta Mani Pulite scopre almeno 500 miliardi di fondi neri su conti esteri che venivano poi smistati dalla società Karfinco del banchiere Francesco Pacini Battaglia ai partiti e, in parte, agli stessi manager Eni. Basta comprare e rivendere petrolio a prezzi diversi tra Italia e società estere per accumulare risorse non tracciabili. Greco e Oddo rivelano che, quando diventa ad dell’Eni nel 1993 per bonificarla, Franco Bernabé allestisce all’interno dell’azienda una “unità di crisi” per “affrontare i problemi” che emergevano con le inchieste giudiziarie e “monitorare le reazioni della maggioranza di governo costituitasi dopo l’affermazione di Silvio Berlusconi”.

Il Paolo Scaroni Trust – Greco e Oddo, con l’aiuto di un esperto, ricostruiscono la storia del Paolo Scaroni Trust, con beneficiari lo stesso Scaroni e i suoi famigliari. Il contratto “pur redatto in modo formalmente corretto, mancava dello scopo, e il disponente del trust era anche, di fatto, il suo principale beneficiario”. Mentre i trust dovrebbero servire a separare un soggetto dai suoi beni per evitare conflitti di interesse. Nel 2009 Scaroni usa lo scudo fiscale del governo Berlusconi, paga il 5 per cento per rimpatriare – si legge in un rapporto di Bankitalia – 10 milioni di euro. Ma ci sono pochi elementi a sostegno della giustificazione di Scaroni per la disponibilità di quelle somme, cioè che si trattasse di compensi accumulati nel periodo in cui il manager lavorava a Londra per la Pilkington.

Oltre 200 milioni di budget per la comunicazione – Dell’Eni in Italia i media si occupano poco, e quasi mai con notizie sgradite all’azienda. Una delle ragioni è la potenza comunicativa del gruppo. Nel 2011 il budget per le relazioni esterne è arrivato a 202 milioni di euro. Eni ha aumentato la pubblicità in Italia anche negli anni della crisi – nel 2011 da 52 a 70 milioni – prima dell’austerità imposta da De Scalzi che nel 2014 l’ha ridotta a 23,4 milioni. Mentre cercava la riconferma, poi svanita, nel 2014 l’allora ad Scaroni si fa trovare ospite a una puntata di Porta a Porta di Bruno Vespa su Rai1 con Matteo Renzi. Secondo la ricostruzione di Greco e Oddo, di fronte alle rimostranze del premier, “Vespa avrebbe allargato le braccia, ribattendo che l’Eni era il maggiore inserzionista della Rai e che non era possibile rigettare la richiesta di Scaroni”.

Ossessione sicurezza: specchi negli ascensori – Nel quartier generale di San Donato Milanese, scrivono Greco e Oddo, ci sono telecamere di sicurezza ovunque. Gli ascensori sono rivestiti di specchi per rendere visibile ogni oggetto alle riprese di sorveglianza e “a evitare che qualcuno possa estrarre un’arma e colpire alle spalle”. E nel 2012 il Garante della Privacy ha stabilito una deroga per l’Eni che puó “trattenere le immagini delle videoregistrazioni per sette giorni, contro le ventiquattro ore standard”.

Da Il Fatto Quotidiano del 18/03/2016