“L’Italia può essere l’ambasciatore dell’Africa nell’Unione Europea”. Parola di Nkosazana Dlamini-Zuma, la presidente della Commissione dell’Unione Africana. C’era anche lei tra le personalità incontrate dal presidente Sergio Mattarella nei giorni scorsi in Etiopia. Forse l’incontro più significativo quello nell’avvenieristica sede dell’Unione Africana ad Addis Abeba, una delle tante grandi opere realizzate in questi anni dai cinesi. Il continente che fa gola a molti era rimasto sullo sfondo nella politica estera italiana. Almeno fino all’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi, che in tre anni ha effettuato già tre missioni, visitando otto paesi africani.
E ora sta per chiudersi la missione di Mattarella, una settimana tra Etiopia e Camerun. “Vogliamo avviare con l’Africa una collaborazione forte, concreta e operativa”, rispondeva il presidente a Dlamini-Zuma. Un viaggio che vuole segnare un nuovo corso per la collaborazione coi Paesi al di là del Mediterraneo, ma che guarda anche a un altro obiettivo: la ricerca di appoggi per aggiudicarsi un seggio come membro non permanente nel Consiglio di Sicurezza nel biennio 2017-2018. Si voterà a giugno e il nostro paese si gioca il posto con l’Olanda. Determinanti saranno i voti dei paesi emergenti, tra cui quelli africani. Il presidente Mattarella aveva già posto in agenda questa priorità nel suo viaggio di febbraio negli Stati Uniti, con tappa al Palazzo di Vetro. E ad Addis Abeba la delegazione italiana ha pubblicamente offerto il proprio sostegno alla candidatura dell’Etiopia per il seggio spettante ai paesi africani. Facile immaginare che ci si attenda un ritorno. Ma non c’è solo il rinnovo del Consiglio di Sicurezza. C’è un’altra ambizione dell’Italia: la candidatura a far parte del Consiglio diritti umani dell’Onu, e anche questo si rinnoverà nel 2017.
Ad Addis Abeba la delegazione italiana ha pubblicamente offerto il proprio sostegno alla candidatura dell’Etiopia per il seggio spettante ai paesi africani. Facile immaginare che ci si attenda un ritorno
A ilfattoquotidiano.it fonti del Quirinale precisano che il nodo del sostegno “elettorale” per l’Onu non è mai stato “affrontato in maniera diretta durante gli incontri istituzionali”, ma è pur vero che questo tipo di temi sono di competenza del governo e non della presidenza della Repubblica. Ad accompagnare Mattarella c’erano membri di Palazzo Chigi, il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e il viceministro degli Esteri Mario Giro.
Terrorismo, impresa e migranti: i fronti di collaborazione dell’Italia – Secondo il sito Africa e Affari, a margine dei colloqui ad Addis Abeba è emerso il credito che l’Italia ha in Africa per la gestione dell’emergenza rifugiati. Uno sforzo che le è riconosciuto in tutto il continente. E ci sono state anche discussioni sulla crisi in Libia: l’Unione Africana ha un proprio inviato per la Libia – l’ex presidente tanzaniano Jakaya Kikwete – e Dlamini-Zuma ha invitato a conferire un ruolo centrale all’Unione Africana nella ricerca di una soluzione.
Dal Corno d’Africa parte una delle rotte più cospicue che si riversano sulla sponda sud del Mediterraneo, mentre il Camerun è uno dei paesi chiave nel contrasto al gruppo terrorista Boko Haram: terrorismo e migrazioni, ma non solo. La visita è stata anche occasione per chiudere col breve passato coloniale fascista, porgendo scuse ufficiali durante l’incontro con gli anziani partigiani etiopi che combatterono contro il nostro esercito negli anni Trenta. C’è stata anche una visita al campo profughi di Teirkidi Kula, dove la cooperazione italiana ha finanziato alcuni progetti, occasione per sottolineare che l’Etiopia accoglie 800mila rifugiati da Eritrea, Somalia e Sud Sudan, di cui solo una piccola parte tenta la fortuna verso l’Europa. La visita ha anche valenza culturale, data la presenza del ministro Giannini. In Camerun si prevede infatti l’avvio di una partnership tra l’università di Yaoundé e quella di Padova. In più negli atenei italiani ci sono 3200 studenti camerunesi, che sono la comunità studentesca africana più ampia. Poi c’è l’obiettivo economico, con l’esportazione del nostro modello delle piccole e medie imprese (ideale per i paesi africani in piena crescita), ma anche spazio riservato ai big italiani.
A margine dei colloqui tenutisi a Addis Abeba è emerso il grande credito che l’Italia ha in Africa per la gestione dell’emergenza rifugiati, uno sforzo che le è riconosciuto in tutto il continente
Non a caso, fra le tappe in Camerun, c’è anche la visita alla Ferrero Camerun, che dà lavoro a duecento persone per la prima lavorazione del cacao coltivato in loco. E in Etiopia proprio il giorno dell’arrivo di Mattarella i media locali annunciavano il via libera alla costruzione di una nuova diga, questa volta nel Sud del Paese: si tratta del progetto Gibe IV di Salini-Impregilo, con il finanziamento della Sace di 1,5 miliardi di euro, che si affianca a Gibe III. Solleva fortissime critiche sia per l’opportunità delle opere in sé e per l’appropriazione delle acque del Nilo che tanto preoccupa i paesi a valle dell’Etiopia, sia per il trattamento riservato alle popolazioni Omo e Oromo residenti nei luoghi destinati a divenire bacini idrici. Ma la diga permetterà la produzione di 2.200 megawatt e Addis Abeba sta puntando molto sulla produzione di energia rinnovabile per sostenere la propria crescita e per venderla ai paesi confinanti. L’ultimo presidente a visitare l’Etiopia era stato Scalfaro nel 1997, mentre Matteo Renzi era già andato lo scorso luglio.
Il Camerun è invece una tappa del tutto inedita per un presidente della repubblica italiano. E una meta pochissimo frequentata da rappresentanze non francesi. Il presidente Paul Biya, al potere dal 1982, twitta da giorni il suo benvenuto alla delegazione italiana: esempio perfetto delle tante “democrature” africane, in cui elezioni discutibili perpetuano al potere il leader di turno. Biya è a capo di un paese in ascesa economica, almeno nella sua parte sud, francofona, mentre il nord anglofono soffre non solo di maggiore povertà, ma – nella sua punta più estrema – anche della piaga di Boko Haram, ormai sempre più stabilmente arroccato non sono in Nigeria, ma in tutto il bacino del lago Ciad. L’Italia collabora con l’Onu a sostegno di un progetto a favore dei rifugiati proprio nell’estremo nord, laddove più forte è la minaccia jihadista e dove gli sfollati interni si sommano ai rifugiati nigeriani in fuga dalle brutali violenze del gruppo fondamentalista.
Il Camerun è invece una tappa del tutto inedita per un presidente della repubblica italiano. E una meta pochissimo frequentata da rappresentanze non francesi
Il viaggio vorrebbe dunque ufficialmente rafforzare i rapporti con paesi che fanno da cuscinetto contro il terrorismo e da bacino per l’emergenza immigrati. L’obiettivo, spiegano dal Quirinale, è quello di verificare se ci sono stati passi avanti rispetto al summit della Valletta e se si stanno avendo risultati in materia di politiche dell’immigrazione e lotte al terrorismo. Tutto questo in vista della prima conferenza Italia-Africa che si terrà alla Farnesina il 18 maggio prossimo, a cui interverrà lo stesso Mattarella. Il premier Renzi ama ripetere che “l’Africa è la nuova frontiera, è la chiave di volta dei prossimi 10-20 anni per l’Europa”. L’Africa come frontiera sud dell’Italia: concetto caro anche a Mario Giro, viceministro degli Esteri, che sta accompagnando Mattarella e che è profondo conoscitore del continente africano, fin dagli anni in cui se ne occupava per la Comunità di Sant’Egidio.
La questione dei voti e l’Africa più “appetibile” – “Sicuramente c’è la questione dei voti africani – spiega a ilfattoquotidiano.it Giovanni Carbone, professore associato all’università di Milano e ricercatore associato ISPI per l’Africa subsahariana –, tanto è vero che il Ministero degli esteri sta organizzando per maggio una conferenza Italia-Africa che come obiettivo ha anche quello di costruire consenso attorno alla candidatura italiana. Non se ne fa mistero. Poi il viaggio ha anche molte altre ragioni, storiche ed economiche”. Secondo Carbone, la missione va anche compresa in coda ai tre viaggi di Renzi. A parte Prodi all’Unione Africana, nessun primo ministro italiano è mai andato in Africa. L’input a Mattarella potrebbe essere venuto da qui. “C’è una linea di discreta continuità nell’attenzione a quest’area, in cui si può inserire il viaggio di Mattarella: è plausibile che ci sia interesse alla questione dei voti da guadagnare e più in generale anche a un’area economicamente più appetibile di quanto non fosse fino a qualche anno fa.”
“La Farnesina sta organizzando per maggio una conferenza Italia-Africa che ha anche l’obiettivo di costruire consenso attorno alla candidatura italiana”
L’Italia starebbe così giocando bene le sue carte, guadagnando la stima dei potenziali elettori. Significativo un lancio dell’Agence d’Information d’Afrique Centrale, che annunciava la visita di Mattarella con queste parole: “I dirigenti italiani credono nell’Africa e intendono dimostrarlo. La decisione del presidente Mattarella di venire per la prima volta in Africa sottolinea che anche lui vuole sposare la linea di condotta del suo volonteroso primo ministro che non perde occasione per proclamare che l’Africa è il futuro. Non sdegnando alcuna occasione per presentarsi in modo meno arrogante degli altri dirigenti europei, Matteo Renzi fa condurre al suo governo una diplomazia di partenariato nella quale l’Africa non è inchiodata a una posizione di semplice ricettore passivo”. Un panegirico singolare, in un continente sempre estremamente critico verso l’occidente.
La sfida per il Consiglio diritti umani – Ma c’è dell’altro. Antonio Papisca, titolare della cattedra Unesco “Diritti umani, democrazia e pace” presso il Centro per i diritti umani dell’Università di Padova, spiega a ilfattoquotidiano.it: “L’Italia ambisce anche al Consiglio diritti umani dell’Onu. Mattarella è tra l’altro il primo presidente della Repubblica che parla il linguaggio dei diritti umani. Conosce e usa il vocabolario degli ‘addetti ai lavori’, ha competenza in materia di diritti fondamentali, in ragione anche della sua formazione e del suo precedente ruolo di membro della corte costituzionale. Dietro la forma c’è un progetto politico”.
L’Agence d’Information d’Afrique Centrale: “I dirigenti italiani credono nell’Africa e intendono dimostrarlo”
Ma che cos’è il Consiglio diritti umani? “Si tratta del massimo organo politico sul tema – continua Papisca -. Da lì vengono gli impulsi per le nuove carte, ma anche il controllo periodico degli stati membri. È un organo intergovernativo, composto da 47 membri fra i 193 delle Nazioni Unite“. Il problema è che “spesso la mano destra non sa cosa fa la sinistra: al Consiglio di sicurezza trionfa la realpolitik, cosa non consentita nel campo dei diritti umani. Si potrebbe auspicare che l’Italia, facendo parte di entrambi, cerchi di tenere acceso il faro sul diritto internazionale. Cosa che dovrebbe valere anche per il Consiglio di sicurezza, dove è invece spesso trascurato”. E se l’Italia portasse a casa entrambi i seggi? “Il nostro paese gode di un’immagine positiva, per il buon cuore e per l’atteggiamento tenuto finora davanti ai flussi migratori: è una carta da giocare. In più Mattarella risulta credibile in veste di human rights defender, a differenza della maggior parte della classe politica”.