Secondo le associazioni le nuove linee guida per accedere ai finanziamenti pubblici tagliano fuori troppe onlus e associazioni di promozione sociale e volontariato. Guido Barbera, presidente del Cipsi: "Errore politico strategico e fallimento della nuova legge sul settore". La direttrice dell'Agenzia per la cooperazione allo sviluppo: "Molti enti sono inadeguati"
Aprire le porte della cooperazione internazionale alla società civile. Per poi chiuderle in faccia. Questo è lo scenario descritto da diverse reti di associazioni di solidarietà, dopo la pubblicazione delle “Linee guida per l’iscrizione all’elenco dei soggetti senza finalità di lucro”. Il testo, messo a punto dal Comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo, stabilisce i requisiti necessari per accedere ai bandi e, di conseguenza, ai finanziamenti pubblici per i progetti internazionali. La legge di riforma del settore, approvata nel 2014, intendeva ampliare la platea di questi soggetti. Peccato che, denunciano le associazioni, le linee guida prevedano criteri troppo restrittivi, che di fatto impediscono a nuove realtà di aggiungersi agli operatori della cooperazione allo sviluppo. Da parte sua Laura Frigenti, direttrice dell’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo, pur assicurando di volere rispettare lo spirito della riforma, sostiene che bisogna garantire la qualità degli attori e l’uso efficiente delle risorse pubbliche.
Ma cosa prevedono queste linee guida? Il documento indica i soggetti ammissibili alla cooperazione, i controlli che devono superare, le modalità di iscrizione. Ma soprattutto stabilisce i requisiti necessari per accedere all’elenco. Chi fa parte della lista può partecipare ai bandi per accedere ai finanziamenti statali: in gioco ci sarà una parte di quei 418 milioni di euro stanziati dall’ultima legge di Stabilità, una cifra aumentata rispetto agli anni scorsi proprio in vista di un maggior numero di soggetti coinvolti nella cooperazione. Le linee guida chiedono alle associazioni di “possedere esperienza operativa e capacità organizzativa nell’ambito della cooperazione allo sviluppo”. Per esempio, i richiedenti devono essere costituiti da almeno tre anni e avere già realizzato in Paesi esteri iniziative legate alla cooperazione con un importo complessivo pari a 150mila euro, che comprendano almeno un progetto del valore di 40mila euro. E ancora, devono dimostrare di essere stati finanziati almeno per il 5% da risorse private nei tre anni precedenti.
Ma i requisiti stabiliti dalle linee guida non vanno giù agli addetti ai lavori. La rete di ong Aoi ha detto chiaramente che non può accettare il documento. “Sono stati adottati criteri estremamente selettivi – ha spiegato l’associazione – sbarrando a monte l’ingresso alla maggior parte di onlus, associazioni di promozione sociale, aggregazioni delle diaspore, all’arcipelago del commercio equo e dell’economia solidale, alle associazioni di volontariato internazionale”. Aggiunge la portavoce Silvia Stilli: “Questi parametri tengono dentro il recinto della cooperazione le ong già idonee con la vecchie legge, mentre gli altri soggetti rimangono tagliati fuori. Le linee guida non corrispondono alla filosofia complessiva della legge, che prevede un sistema inclusivo”.
Sulla stessa linea Guido Barbera, presidente del coordinamento Cipsi: “La società civile nelle sue varie espressioni, anche nelle sue piccole associazioni, è la vera prima linea della cooperazione italiana e dei valori costituzionali del nostro Paese. Non riconoscerli, non è solo un errore politico strategico, ma è il fallimento della nuova legge fin dalla partenza”. In discussione, secondo l’associazione, è lo stesso intento della riforma: “A che serve avere una legge che riconosce la molteplicità delle forme aggregate e dei contributi della società civile impegnata nella cooperazione, se poi si limitano le possibilità con norme restrittive e rigide, le stesse definite per ridurre le vecchie e tradizionali ong in un gruppetto ristretto di ‘professionisti’ del settore?”. Anche Paolo Dieci, presidente di Link 2007, sostiene che le linee guida non sembrano andare nella direzione indicata dalla riforma della cooperazione: “L’impressione è che la complessità della sfida abbia alla fine ispirato l’adozione di una scorciatoia, ovverosia la riproposizione dei medesimi criteri previsti dalla precedente legge per il riconoscimento dell’idoneità alle ong”.
Alle critiche delle associazioni risponde Laura Frigenti, interpellata da ilfattoquotidiano.it. “L’allargamento della platea dei soggetti – spiega Frigenti – deve andare di pari passo con la necessità di garantire la qualità degli attori, di individuare criteri validi per accreditare soggetti del tutto nuovi, con l’esigenza di garantire un uso efficiente delle risorse pubbliche a vantaggio dei beneficiari. D’altra parte ci siamo attenuti ai criteri che vengono utilizzati dalla maggior parte dei donatori in questo settore”. Insomma, la direttrice dell’Agenzia per la cooperazione rivendica i cambiamenti portati dalle linee guida: “Per esempio, oggi è più facile accedere all’elenco per chi si occupa di educazione e promozione della cultura di cooperazione. Alcune nuove procedure, per la prima volta, consentono il finanziamento di soggetti non profit anche per progetti di primissima emergenza. E ancora, abbiamo proceduto a una radicale semplificazione”. Ma si faranno interventi correttivi come chiesto dalle associazioni? “Vedremo come va questa prima fase di accreditamento al nuovo elenco, poi valuteremo, ascoltando suggerimenti ed esigenze. Quello che da subito è emerso, ad esempio, è che organizzazioni nuove ed emergenti vogliono affacciarsi e trovare spazio ma spesso non hanno una dimensione sufficiente o la cultura organizzativa e gestionale adeguata. Stiamo pensando, proprio per questo, a meccanismi e percorsi preferenziali nell’ambito dei bandi per far crescere queste realtà”.