Società

Flop del papi-day, termometro dell’istituto familiare

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Stamane (ieri, ndr) era il mio turno, per questo sono andato a fare lo spesone settimanale nel supermercato sotto casa. Solo allora, dal dialogo tra l’addetto al bancone macelleria e il suo aiutante, mi sono reso conto di che giorno era. “Mia figlia non mi ha fatto gli auguri”, dice affranto l’uno. “Ma come, eppure oggi era il giorno del papà”, gli fa eco l’altro. Tra me e me mi compiaccio che i miei – di figli – neppure ci abbiano provato, visto che sanno bene quanto odi queste americanate del day dedicato alla donna, alla mamma, alla nonna, allo zio fedifrago o alla zia, al daddy… Spudorati pretesti per vivacizzare vendite calanti con il pacchetto contenente varie inutilità o qualche dolcetto, sovrastato dalla scritta “ti voglio bene” per il consanguineo di turno.

E poi – ditemi voi – perché dovremmo inneggiare a una figura parentale un giorno all’anno, e uno solo? Io omaggio mia moglie a ogni risveglio, se non altro per la pazienza che dimostra nei miei confronti da oltre trent’anni.

Ma – visto l’andazzo – mi pare di capire che queste forme di ipocrisia mercantilistica stanno mostrando abbondantemente la corda. Semmai mi stupisco se qualche giovanotto filosofeggia sul flop dell’odierno papi-day parlando di “evaporazione del padre” per colpa delle tendenze edipiche del “capitalismo assoluto”. Cosa significhi in tale contesto l’aggettivo “assoluto” non mi è chiaro, più chiaro risulta dove si pretenderebbe di menarci, sulla filiera dal nazista di complemento e certamente reazionario Martin Heidegger fino alla band ZeroZeroAlfa; celebre in quanto autrice dell’inno di Casa Pound “Nel dubbio, mena”. D’altro canto, per essere giovani di pensiero non basta farsi crescere un ciuffo alla Little Tony.

Prendo le mosse da qui, dall’apologia del padre perduto quale “simbolo della legge e della misura”, per ritornare su un dialogo intavolato in questo blog l’altra settimana, che per molti interventi mi ha confermato quanto sia difficile esercitare un ruolo critico in un contesto dove predominano “spiriti credenti”. Gente che ha trovato – a dir poco – urticante la mia convinzione che la famiglia tradizionale – ripeto la formulazione che proponevo : “basata sulla coppia eterosessuale e finalizzata alla riproduzione” – stia declinando quale modello dominante e univoco. A partire dalla figura paterna, che non incarna né legge e nemmeno misura, bensì personifica l’autorità; sempre a rischio di autoritarismo, che l’odierna cultura relativamente libertaria tende a respingere.

A mio modo di vedere – alla faccia dei laudatori della famiglia a prescindere (sempre a mio avviso, in quanto alla disperata difesa di un proprio mondo che frana da tutti i lati), che si sono scagliati contro il mio post come tarantolati – questo dipende perché l’evoluzione dell’istituto familiare, sotto la minaccia dell’evoluzione dei tempi, in genere non è stato capace di evolvere dal comando patriarcale all’affettività e al rispetto; bensì da un controllo tendente al repressivo al suo contrario, l’assenteismo.

Dicendo questo non mi baso soltanto su ponderosi studi circa lo scarso senso civico e la conseguente tendenza narcisistica alla deresponsabilizzazione delle generazioni nate attorno al Sessantotto, asociali e portate – come ha scritto il sociologo di Harvard Robert Putnam – a “giocare da sole” (“bowling alone”). Ricavo queste convinzioni da esperienze in presa diretta. Come e padre e nonno, frequentatore di riunioni scolastiche dei genitori dove se ci si ritrova già in due o tre è festa grande (mentre magari nell’istituto è in corso una colonizzazione da parte di Comunione e Liberazione; per cui la professoressa di italiano mette in programma esclusivamente Dante, in quanto buon cristiano!). Dati confermati quando – ancora recentemente – facevo ricerche sul campo in materia di formazione al lavoro e qualche preside intervistato mi presentava la situazione disastrosa della sua scuola, in cui ben il 97% degli allievi non dispone di un genitore con cui i docenti possano interfacciare.

Da qui la mia critica alle derive assenteistiche della famiglia contemporanea. Ma – chiedo – chi è più amico di tale famiglia, quello che la difende a spada tratta o chi ne denuncia le lacune e le inadempienze, sottoponendola a esame critico?