Con quali politiche il governo e la sua maggioranza stanno affrontando la giustizia civile e le tutele che questa dovrebbe offrire alle persone? Recenti disegni di legge, promossi dall’esecutivo, rischiano di intaccare gli individui nei loro diritti fondamentali, sempre più sacrificabili o, comunque, comprimibili. Per esempio, con il Ddl Concorrenza, in discussione al Senato, il governo per accontentare le assicurazioni sta cercando di dimezzare i risarcimenti previsti per i danneggiati da sinistri stradali e da responsabilità mediche. Le vittime con lesioni gravissime saranno quelle maggiormente colpite dalle nuove norme: danni morali azzerati o quasi, parametri monetari molto più bassi rispetto a quelli impiegati dai giudici. Forse gli emendamenti più estremi (quelli sostenuti dall’esecutivo) non passeranno, ma, in ogni caso, il provvedimento abbasserà la tutela risarcitoria di questi danneggiati, per poi magari estendersi ad altri campi.
La tutela effettiva delle vittime, del resto, non sembra costituire una priorità. Solo quando fa comodo si promettono fondi statali per i risarcimenti, per esempio per tenere buoni azionisti e correntisti alle prese con banchieri spregiudicati. Invece la Direttiva europea del 2004, che impone all’Italia di indennizzare le vittime di crimini violenti intenzionali ogniqualvolta il responsabile rimanga ignoto o non abbia risorse economiche, è ancora inadempiuta. Così come privo di seguito è rimasto l’analogo obbligo previsto dalla Convenzione di Istanbul per i femminicidi in famiglia e gli stupri.
In questo desolante contesto si inserisce anche l’ennesima “riforma” del processo civile di cui al Ddl n. 2953, sempre di iniziativa governativa, da ultimo approvato dalla Camera. Per il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che da oltre un anno è impegnato in un road show in giro per il mondo per raccontare – queste le sue parole – “come e in quale direzione sta cambiando la giustizia civile in Italia”, il Ddl segna un “definitivo cambio di passo”. Non solo: la “riforma” finirebbe per incrementare pure il Pil. Siamo dinanzi alla solita propaganda di regime? Si dubita seriamente che la “riforma” renderà i processi più veloci. Ancora di più che possa far salire il Pil. Il problema centrale, però, dovrebbe essere un altro: come inciderà la riforma sui diritti delle persone? Al guardasigilli Orlando piace evocare l’idea dei processi “efficienti”, ma “efficienza” non è sinonimo di “giustizia”.
In realtà, a scorrere il Ddl, si preannunciano minori tutele processuali, in linea con i provvedimenti delle precedenti legislature. Per esempio, il governo pretende di essere delegato a una ulteriore riduzione dei termini per promuovere un appello o un ricorso in Cassazione. Praticamente i cittadini non faranno tempo a leggere le sentenze che già saranno decaduti dalla possibilità di impugnarle. Il governo, inoltre, chiede di venire autorizzato all’attuazione del principio di sinteticità degli atti processuali (sentenze comprese) e a una nuova semplificazione (l’ennesima) del rito ordinario: a parte la gravità di una tale “delega in bianco” (si attribuiscono all’esecutivo superpoteri), manifesto è l’obiettivo di completare la trasformazione dei processi civili (tranne quelli societari) in procedure di sommaria (in)giustizia, vieppiù svuotate di importanti garanzie per le parti. Si prevedono anche nuove misure per incentivare, a tutti i costi, la conciliazione prima e durante il processo: così, sempre più spesso, le persone si troveranno esposte al rischio di accordi al ribasso e dinanzi a magistrati impegnati più a conciliare che a giudicare.
All’esecutivo interessano forse più le statistiche sulla giustizia che la sostanza e la qualità dei processi: tanto ad essere sacrificati saranno ancora una volta i cittadini, quelli dei ceti più bassi e del ceto medio, a prescindere che siano consumatori, professionisti, lavoratori, disoccupati, artigiani o imprenditori locali. Per il governo i rimedi per la tutela dei diritti violati, anche quelli fondamentali, devono cedere il passo alle ragioni dell’economia, cioè dei bilanci statali e delle solite lobby. La giustizia, sia in termini di diritti che di processi, è prima di tutto una questione economica: in questi termini Renzi e la sua maggioranza concepiscono il tema della giustizia civile e della sua “efficienza”.
Questo modo di intendere diritti e processi, però, tradisce diversi concetti fondamentali: la “giustizia” dovrebbe garantire l’effettività dei diritti; i processi sono “giusti” soltanto quando, grazie ad essi, le persone riescono a conseguire una tutela piena dei loro diritti. Il tempo necessario per arrivare alla fine di un processo è senz’altro un fattore rilevante. L’Italia detiene da decenni la maglia nera europea per la lunghezza dei processi nonostante ogni governo dell’ultimo ventennio si sia vantato di avere promosso riforme epocali. Però non è automatico che un processo veloce sia anche “giusto”. Alla speditezza deve accompagnarsi la garanzia che i giudici lavorino con serietà e vadano a fondo nell’accertamento di fatti, responsabilità e diritti. La giustizia non può diventare sommaria e sbrigativa, tantomeno per soddisfare le esigenze statistiche e di rating dei governi.
Il “servizio giustizia”, tra l’altro, costa caro ai contribuenti e a chi deve accedere ad un tribunale: perché mai ci dovremmo accontentare di processi approssimativi e di sentenze in forma sintetica (cioè immotivate)? Soprattutto, il processo è “giusto” se offre “giusti rimedi” (per esempio, risarcimenti integrali, non già quelli voluti dalle assicurazioni): il legislatore dovrebbe garantire ai cittadini l’accesso a tutele vere, altrimenti i processi aggiungono ai danni pure le beffe.
“Giusto processo” e “giusto rimedio” viaggiano insieme: il primo non ha senso senza il secondo; quest’ultimo, per avere luogo, necessita del primo. Il governo Renzi e la sua variegata maggioranza, in realtà, conoscono benissimo tutto ciò. Eppure, esattamente come i loro predecessori, vanno nella direzione opposta. Anzi, sono impegnati ad aggiungere alle già pessime riforme del passato ulteriori tasselli negativi. La politica dell’esecutivo è allora intenzionale e netta: procedere nella detronizzazione della giustizia civile così come essa è stata concepita allorquando il diritto s’imponeva sull’economia.