Sono volati a Bruxelles per essere ascoltati dalla commissione Libertà civili, Giustizia e Affari interni del Parlamento Europeo. Un’audizione, quella della commissione Antimafia italiana, che aveva un solo obiettivo: esporre al Parlamento la necessità di uniformare in tutto il territorio comunitario le leggi di contrasto alla criminalità organizzata.
“Dovrebbe essere una priorità per l’Unione Europea, dato che ormai da anni le organizzazioni criminali operano a livello transnazionale e senza leggi comuni a tutti i Paesi non è possibile perseguirle a dovere”, spiega Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia, ascoltato a Bruxelles insieme a Rosy Bindi, presidente di San Macuto, e ai colleghi Mario Michele Giarrusso, del Movimento 5 Stelle, e Laura Garavini, del Pd.
Tre le linee principali che il Parlamento Ue dovrebbe seguire per dare seguito all’audizione dei commissari italiani: la creazione della figura di un procuratore europeo antimafia, l’estensione del reato di associazione criminale di stampo mafioso a tutti i Paesi comunitari, l’implementazione in tutti i paesi del reciproco riconoscimento dei provvedimenti di sequestro e confisca dei beni. In pratica le stesse istanze già messe nero su bianco dallo stesso Parlamento Europeo, che il 25 ottobre del 2011 approvò a larga maggioranza la Risoluzione sulla criminalità organizzata nell’Unione: un documento molto dettagliato, prodotto dalla commissione speciale antimafia all’epoca presieduta dall’europarlamentare Sonia Alfano, che invitava le cancellerie europee a introdurre nei propri ordinamenti strumenti adeguati per combattere le associazioni criminali.
Quattro anni dopo quella risoluzione è però rimasta lettera morta. E anche adesso che i parlamentari dell’Antimafia italiana sono stati chiamati a Bruxelles, difficilmente i contenuti di quel documento rischiano di vedere la luce. “La Commissione Ue – continua Fava – ci ha ascoltati, ma come al solito sembra che il problema delle mafie sia un problema tutto italiano: come se non fossero mai esistite le operazioni contro la ‘ndrangheta in Belgio, i blitz contro il narcotraffico nei Paesi dell’Unione, o come se i sei morti della strage di Duisburg non fossero stati uccisi in una strage mafiosa. Ecco quando accade un evento come quello di Duisburg l’Europa sembra accorgersi dell’esistenza delle mafie in tutto il territorio comunitario: poi torna a disinteressarsene”.
Per la verità, la creazione di un procuratore europeo antimafia, così come l’estensione del reato di associazione criminale e delle norme sulla confisca dei beni, sono misure che devono in ogni caso ricevere il via libera dai singoli governi. “Ma non c’è la volontà da parte dei Paesi di cedere sovranità nazionale per creare norme che contrastino le associazioni criminali. Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra sembra che siano piaghe esclusivamente italiane, e invece fanno affari e dettano legge in tutta Europa. E anzi alcuni Paesi dell’Unione Europea sono da anni le casseforti delle associazioni mafiose: come si può pensare di combatterle se poi mancano gli strumenti per andare a sequestrare e confiscare i beni nascosti ai quattro angoli d’Europa?”, dice sempre il vice presidente di Palazzo San Macuto.
In questo senso, già due anni fa la commissione parlamentare Antimafia aveva battuto un colpo in direzione Bruxelles: lo aveva fatto il 17 giugno del 2014, alla vigilia del semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea. “Matteo Renzi – dice Fava – aveva i nostri dossier, le nostre relazioni e sapeva quali iniziative sarebbe stato il caso di prendere, soprattutto sul fronte del procuratore nazionale europeo. Sapeva, perché ne ha fatto cenno, ma si trattava evidentemente soltanto di slogan, dato che poi nulla è successo. Un vero e proprio fallimento, politico prima che legislativo: sarebbe stato, infatti, un gran bel messaggio se una spinta fondamentale alla lotta alla mafia in Ue fosse arrivata proprio durante il semestre di presidenza italiano”.
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