In parallelo a Brixton Road, tra Kennington e Myatt Fields, si estende il sudicio quartiere popolare di Cowley. Leggenda vuole che in passato, nei lontani anni Settanta, questo DJ di sound system che rispondeva al nome di King Tubby, testasse le sue casse per basso da diciotto pollici in una delle aree verdi all’interno dell’estate. Credo che Pa’ esagerasse quando diceva che la musica reggae hardcore si sentiva da in cima a Brixton Hill (…) Adesso non ci abitano più, come una volta, molte famiglie giamaicane e irlandesi, e le loro case ormai si sono riempite di scheletrici africani dell’est dalla fronte lunga e di gente dell’Est Europa che non sa vestirsi e fa della grand’elemosina.

Alex Wheatle, autore londinese di origine giamaicana, molto noto in patria (da quasi tutti i suoi romanzi sono state tratte opere cinematografiche e teatrali), ha la capacità di raccontarci Brixton e le sue trasformazioni con uno stile limpido, vitale e ironico, che eleva le sue opere sopra la tanta letteratura, e non solo (vedi in primis la magnifica canzone Guns of Brixton di The Clash) che dagli anni Ottanta si occupa di questo quartiere-polveriera a sud del fiume.

Pubblicati in Italia da Spartaco Edizioni, Tranquillo, fratello! e L’erba nera, entrambi tradotti da Francesca Orlati, sono testi dinamici, incisivi, impregnati di una grande forza evocativa, dove le parti dirette costruiscono, grazie al sapiente uso del linguaggio cinematografico, uno spaccato reale della vita di quartiere. Se nel primo seguiamo le gesta di Dennis Huggins, venitreenne incarcerato nel penitenziario di Pentonville, che ripercorre la sua vita fatta di amore, ribellione, devozione e ricerca di un’appartenenza nella comunità, ne L’erba nera abbiamo modo di fare un tuffo nel passato dell’Inghilterra thatcheriana, al fatidico 1981, quando Brixton, devastata da disagio, disoccupazione, incapacità di dialogare con il potere, esplode a seguito delle provocazioni e della violenza poliziesca, dando il via a una delle rivolte più devastanti del ghetto.

Molti autori hanno messo in campo l’incomunicabilità della Gran Bretagna con gli emigrati delle ex colonie. Nel 1953 Sam Selvon scrive The Lonely Londoners (inspiegabilmente mai riproposto in Italia dopo un’edizione tascabile negli anni Novanta), uno dei primi libri caraibici scritti interamente in creolo. Il romanzo si sofferma sui sogni e le speranze degli emigranti per poi mostrarne la grande disillusione e il profondo malessere psichico nel duro scontro con la realtà londinese. Il tema dell’esilio diventa centrale. Selvon scrive con un orgoglio genuino della sua gente, di questi “londinesi solitari” che, malgrado gli svantaggi sociali e i sogni svaniti, riescono a sentirsi liberi e spensierati, tanto da andare a caccia di piccioni ad Hyde Park, per poi farsi un banchetto luculliano in una soffitta sgangherata dalle parti di Westbourne Grove, in anni in cui il Carnevale era ancora un’idea, una speranza, una rivalsa di povera gente colorata e piena di dignità.

Come Selvon anche Alex Wheatle utilizza la comicità per raccontare le vicende dei “figli” di quei primi emigranti. Non è mai amaro, nemmeno nei momenti in cui la satira sociale si fa più mordace. L’elemento comico diventa una difesa contro le ingiustizie, le sopraffazioni e le crudeltà a cui i protagonisti dei sui romanzi sono continuamente sottoposti. In Tranquillo, fratello! inoltre, emergono i primi nuovi contrasti legati alle relazioni con altri gruppi etnici e religiosi, contrasti ancora oggi visibili per chi vuole farsi un giro a Brixton o a Streatham Hill e che altri autori hanno evidenziato in altre zone di Londra, penso a Hanif Kureishi ne Il Budda delle periferie, o Gautam Malkani ne Londostani, capace, grazie a una straordinaria visività espressiva, di mescolare lo slang delle strade londinesi con il punjabi e il gangsta rap.

La Brixton di Alex Wheatle non è più quella post-punk di Martin Millar e del suo Latte, solfato e Alby Starvation, ma il risultato di una spietata gentrificazione voluta dall’alto, che nella riqualificazione di molte zone popolari della capitale inglese (l’East End che fu proletario insegna) obbliga i vecchi residenti a spostamenti forzati, creando così nuove sacche di disagio e di difficile convivenza.

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