Il 22 marzo, è la Giornata Mondiale dell’acqua: torniamo a dire sì all’acqua del rubinetto.
Un miliardo e 600 milioni di persone non hanno ancora accesso all’acqua potabile. Negli Usa un abitante consuma in media 425 litri di acqua al giorno. Un abitante del Madagascar 10 litri al giorno. Un italiano 237 litri al giorno. Ma non crediamo di essere dalla parte giusta del mondo, perché con i cambiamenti climatici gli sconvolgimenti aumentano, i periodi di siccità e le inondazioni colpiranno sempre più anche i paesi ricchi. Raccontavo queste cose in una classe, quando un ragazzino immigrato alza la mano e dice che quando lui va a trovare suo nonno, in Somalia, percorre ogni giorno tanti kilometri a piedi per andare a prendere acqua dal pozzo. Gli fa eco il suo compagno di banco albanese. I nostri bambini sgranano gli occhi davanti queste storie di mondi lontani. Qualcuno obietta: “La mamma mi sgrida se bevo acqua dal rubinetto, dice che quella in bottiglia è più buona”. I più grandini ridono: “l’acqua del rubinetto è da sfigati”.
Comprando ogni anno 12,5 miliardi di litri di acqua in bottiglia, l’Italia, primo paese consumatore di acqua minerale in Europa, utilizza quasi 700 mila tonnellate di petrolio, getta nell’atmosfera 950 mila tonnellate di CO2 equivalente, (perché le bottiglie viaggiano soprattutto su gomma), incenerisce almeno 300mila tonnellate di plastica, con l’emissione di diossine e PCB (perché più della metà della plastica differenziata viene incenerita).
È da sfigati bere acqua di rubinetto? L’acqua minerale viene controllata per legge solo una volta l’anno, tramite autocertificazione, mentre i controlli relativi alla rete idrica avvengono almeno 4 volte l’anno, e sono compiuti dalla Asl. Anche i limiti e i parametri sono più severi. L’acqua di Faenza ad esempio è migliore di tante acque minerali, con valori medi di nitrati (4 mg/l) molto inferiori al limite consentito (50 mg/l).
Chiediamo alle scuole dei nostri figli, alle mense lavorative e aziendali, di togliere le macchinette distributrici di acqua in bottiglia, chiediamo ai ristoratori e ai bar di darci acqua pubblica, in caraffa. Purtroppo per le scuole queste macchinette sono una piccola miniera d’oro e non tutte vogliono rinunciarci. Ma alcune lo hanno fatto, come a Merano. L’educazione dovrebbe essere più importante dei soldi.
Oppure come a San Francisco, dove addirittura un’intera città ha imposto un divieto graduale, da qui al 2020, di vendita delle bottiglie di plastica.
Mentre compriamo l’acqua in bottiglia, sprechiamo quella potabile di rubinetto. La usiamo per lavare i piatti (da 20 a 40 litri), i pavimenti (circa 10 litri), per tirare lo sciacquone (16 litri ogni volta che si pigia il pulsante), per lavare l’auto (in autolavaggio 160 litri, col tubo di gomma anche 800 litri), per fare la doccia (40 litri) o il bagno in vasca (160 litri).
Nelle case in bioedilizia esistono cisterne di raccolta per l’acqua piovana, da usare per usi domestici (doccia, mani, piatti…) mentre le acque grigie della casa vengono incanalate nello sciacquone.
Ma chi come noi abita in affitto, in case non in bioedilizia, come può fare per porre limite a tanto spreco? Oltre ad avere il classico frangigetto nel rubinetto, noi recuperiamo l’acqua piovana con cisterne in terrazzo, mettiamo recipienti sotto ai rubinetti, e nel piano della doccia, per recuperare tutte le acque grigie, da usare poi al posto dello sciacquone.
L’acqua si spreca anche nelle tubature: il 37% dell’acqua si perde nei tubi. Un vero scandalo, aggravato anche dalla privatizzazione delle rete idrica. Sebbene 26 milioni di italiani nel 2011 si fossero espressi contro, si continua a “vendere” l’acqua ai privati, che poi però gli investimenti non li fanno: dal 2006 i privati hanno pagato solo l’11% dei fondi investiti nel settore idrico.
Per capire quanta acqua sprechiamo ogni giorno, valutiamo infine l’impronta idrica dei vari alimenti che consumiamo: per produrre un hamburger occorrono 2400 litri di acqua (per irrigare i campi destinati al foraggio, lavorazioni industriali, ecc…). L’alimentazione a base di vegetali, cereali e legumi, oltre ad essere più sana, è anche più sostenibile dal punto di vista dell’impronta idrica. Sostenere un modello di agricoltura locale, biologica o sinergico, senza l’uso di pesticidi né erbicidi è un’ulteriore e necessario passo per rispettare l’acqua.
Perché l’acqua è vita ed è di tutti.