In 12.000 nella tendopoli al confine greco-macedone. A Cagliari tre scafisti sono stati fermati dopo lo sbarco di 667 migranti avvenuto lunedì. Aggiornato a maggio il processo nei confronti dei responsabili del naufragio del 18 aprile 2015 nel quale morirono 750 persone
La protesta dei migranti dell’accampamento di Idomeni al confine greco-macedone, si è conclusa con due uomini che si sono dati fuoco al grido di “Siamo disposti a morire qui piuttosto che tornare indietro”. Portati in ospedale, le loro condizioni non sono gravi: a salvarli dalle fiamme i compagni del centro. Dopo la chiusura della rotta balcanica la situazione a Idomeni sta diventano insostenibile: in 12.ooo sono accampati nella tendopoli al confine tra Grecia e Macedonia nella speranza di attraversarlo. La maggior parte di loro rifiuta di spostarsi, ignorando l’appello delle autorità greche per un trasferimento in una struttura più organizzata eretta poco distante dall’esercito.
Le proteste nell’accampamento sono all’ordine del giorno da quando Ue e Turchia hanno raggiunto un accordo che dovrebbe rallentare significativamente il numero di migranti che tentano di raggiungere la Grecia dalle coste turche: un accordo che prevede il rimpatrio per ogni rifugiato che arriva su suolo europeo, ma che appare difficile da applicare. Le operazioni, che dovevano iniziare domenica, non sono ancora partite.
Intanto a Cagliari tre scafisti sono stati fermati dalla Polizia dopo lo sbarco di 667 migranti avvenuto lunedì nel porto del capoluogo sardo. In manette sono finiti Mohamud Abdi Fatah, 31 anni, Qadar Abdul Qahab Osman, di 18, e Absou Cheikh Ali, di 26, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. I tre scafisti sono stati riconosciuti grazie alle testimonianze di quattro profughi che li hanno indicati come i responsabili del viaggio: due di loro si alternavano alla guida dell’imbarcazione carica di migranti mentre il terzo era incaricato di riscuotere i soldi della traversata, circa 2.000 dollari a persona. Lunedì notte sono state concluse le visite mediche e l’identificazione dei profughi sbarcati che sono poi stati smistati in varie strutture d’accoglienza: 317 nel cagliaritano, 201 a Sassari, 87 a Nuoro e 62 a Oristano. Il prefetto di Cagliari, Giuliana Perrotta, ha già lanciato l’allarme per la carenza di posti disponibili in Sardegna.
A Catania invece è stato incardinato e aggiornato a prossimo 17 maggio il processo, con rito abbreviato, per il naufragio del 18 aprile 2015 al largo della Libia, nel quale persero la vita circa 750 migranti. Tra i 28 sopravvissuti, due minorenni che si sono costituiti parte civile nel processo che vede imputati il “capitano” dell’imbarcazione, Mohamed Alì, tunisino di 27 anni, e il suo “mozzo”, Mahmud Bikhit, siriano venticinquenne. I due si proclamano innocenti e sostengono invece di essere passeggeri a bordo della nave. La richiesta di acquisizione della scatola nera del peschereccio è però stata rigettata: entrambi sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, mentre solo al capitano è contestato anche l’omicidio colposo plurimo e il naufragio.
Secondo la Procura di Catania il naufragio “fu determinato da una serie di concause, tra cui il sovraffollamento dell’imbarcazione e le errate manovre compiute dal “comandante” Malek, che portarono il peschereccio a collidere col mercantile King Jacob”, intervenuto per soccorre i migranti.